Brennero 66

Ieri sera sono passato dal Brennero (provenendo dalla Germania). Più o meno viaggiando a 80 km/h. Il tempo di leggere “Brennero” su qualche cartello e via. Il confine non più confine.

Più di 40 anni fa, i Pooh (celebre easy-band italiana) dedicarono al Brennero una canzone nella quale si allude confusamente al terrorismo sudtirolese degli anni sessanta. Ogni volta che passo dal Brennero mi viene in mente quella canzone, e l’incapacità “italiana” di capire il senso di quella stagione. “Brennero 66”, un manifesto dell’incapacità “italiana” di capire questo posto, la sua storia, le sue peculiarità.

8 thoughts on “Brennero 66

  1. Du tust unseren italienischen Mitbürgern unrecht. Überhaupt ist diese pauschalierende Argumentationsweise, die das dualistische Volksgruppendenken indirekt festigt, abzulehnen. Es gibt auf beiden Seiten sehr viele Brückenbauer. Ich erwähne zum Beispiel den Querdenker Guidiceandrea, den mutigen Mauro Minniti sowie unzählige Personen, die nicht im Lichte der Öffentlichkeit stehen.

    Das grundsätzliche Fundament um in Südtirol gut zusammenleben zu können, ist das Verständnis wie die politischen Mechanismen Südtirols funktioniere: Jeder Einwohner muss verstehen, dass Politik in einer Demokratie Pluralismus bedeutet. Das bedeutet, dass “die Linke” dringenden Aufholbedarf hat, um ein ideologisches Gleichgewicht zu schaffen und den Schreihälsen in den Rechtsparteien entgegenzutreten.
    Die wichtigste Erkenntnis muss aber sein, dass der Minderheitenschutz in allen seinen Spielarten und Konsequenzen über der Politik steht und niemals, egal in welcher Form zur Disposition steht, das deshalb um den gesellschaftlichen Pluralismus immerfort gewährleisten zu können.

  2. Jeder Einwohner muss verstehen, dass Politik in einer Demokratie Pluralismus bedeutet.

    Già: il Sudtirolo è sicuramente molto pluralistico. 🙂

    Die wichtigste Erkenntnis muss aber sein, dass der Minderheitenschutz in allen seinen Spielarten und Konsequenzen über der Politik steht und niemals, egal in welcher Form zur Disposition steht, das deshalb um den gesellschaftlichen Pluralismus immerfort gewährleisten zu können.

    Ecco, per l’appunto… 😉

  3. Ha ragione Oscar. Occorre sempre storicizzare e contestualizzare. In quegli anni tanto lontani da noi e che probabilmente non potremo mai capire del tutto (come “clima” culturale, mentale, intendo), non avendoli vissuti in prima persona, le cosiddette canzonette seguivano il vento che soffiava e che due anni dopo sarebbe diventato quel “fenomeno” irraccontabile del tutto, globale, complesso e complessivo che fu il ’68. Il ’66 era l’anno in cui iniziava a diventare clima anche qui da noi il pacifismo dei figli dei fiori, l’on the road. Iniziavano a cantarsi canzoni impegnate come Il disertore, e quindi tutto ciò che erano bombe, violenza, guerra, venivano rifiutate. L’unica concessione nella musica leggera, era la rivoluzione, edulcorata e tradotta in una canzonetta di Sanremo, mi pare da Antoine…
    Per cui non darei tanta enfasi ed importanza alla canzone dei Pooh…seguiva e correva nel vento di allora. Altri erano i luoghi degli equivoci e delle mistificazioni, e non solo in Italia. Queste cose hanno sempre il marchio della reciprocità.

  4. Brano di protesta? E protesta de che? L’unico brano di protesta che hanno scritto i Pooh è stato “Piccola Ketty”.

  5. I Pooh non erano certo i Nomadi, e neanche PFM o Banco del Mutuo soccorso! Ascoltando i loro brani e confrontandoli con brani coevi di altri gruppi o cantanti o cantautori, le loro erano proprio le classiche classiche canzonette…Infatti fu uno di quei gruppi che non facevano parte dei riferimenti musicali di allora per i giovani “impegnati” che attingevano poco al patrimonio canzonettistico italiano e si rivolgevano a riferimenti musicali stranieri. Non erano le orietteberti, ma neppure i Boris Vian o i Bob Dylan

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