Gravato storicamente da un conflitto etnico fortunatamente sedato, il Sudtirolo è un luogo privilegiato per osservare la rinascita dei nuovi estremismi di destra. Un libro ne ricostruisce il profilo.
La parola “estremismo” ci porterebbe a guardare lontano, verso le estremità appunto, che sono luoghi difficilmente accessibili. In questi luoghi remoti prosperano visioni del mondo accentate in modo da risultare (o che almeno dovrebbero risultare) indigeste agli abitanti del centro, cioè alla maggioranza della popolazione. Popolazione che, in quanto maggioranza, tenderebbe in condizioni normali a rigettare le “estremità”. Può accadere però che alcune teorie estremistiche, a causa di fattori complessi e intrecciati, finiscano con lo slittare sempre più verso il centro, divenendo quindi presentabili in società: salonfähig, come si dice in tedesco. Facciamo un esempio. Avete presente la diceria secondo la quale le ong operative nel Mediterraneo per salvare gli esseri umani in difficoltoso viaggio verso l’Europa sarebbero solo dei comodi “taxi” per migranti? Una tesi estremistica, per l’appunto, tendente ad avvalorare il sospetto di un vero e proprio piano strategico allestito con l’obiettivo finale di sostituire la popolazione europea autoctona con elementi “allogeni”. Eppure, questa teoria estremistica e strampalata, rivelatasi del resto anche completamente infondata, a un certo punto è stata recepita da Luigi Di Maio, attuale vicepremier italiano, e da lì in poi alimenta il refrain con il quale l’intero governo, dominato dalla propaganda ossessiva dell’altro vicepremier, Matteo Salvini, sta giustificando la propria azione di respingimento dei migranti, apprezzata da molti elettori.
Ma perché viviamo tempi in cui gli estremismi esercitano così tanto fascino, fino a permeare di sé l’intero corpo della società? E in che cosa consiste in particolare l’estremismo di destra, visto che quello di sinistra, attivo in modo virulento negli anni Ottanta del secolo scorso, si è progressivamente ritirato in spazi sempre più marginali? Per rispondere a queste domande è utile consultare un libro appena pubblicato dall’editore Raetia, che raccoglie gli interventi di un convegno – “Ubriacatura identitaria. L’estrema destra in Alto Adige/Der indetitäre Rausch. Rechtsextremismus in Südtirol”, questo il titolo – organizzato il 5 ottobre del 2018 dalla Società Michael Gaismar di Bolzano, in collaborazione con l’Associazione Partigiani d’Italia (ANPI) presso la LUB. I contributi spaziano da quello a volo d’uccello dei curatori, Giorgio Mezzalira e Günther Pallaver, sul fenomeno dell’estremismo di destra e del suo facilitatore attuale (vale a dire il populismo), a quelli più specifici che ne inseguono le forme in Italia (Guido Margheri), in Austria (Kathrin Glösel/Hanna Lichtenberger), per poi affrontare anche la precipitazione locale di questo Gedankengut: Bernhard Weidinger, ancora Giorgio Mezzalira – che si è occupato di chiarire i motivi del successo riscosso dalla formazione neo-fascista CasaPound in una città come Bolzano –, Johannes Kramer, Alexander Fontó, Lukas Tröger, Max Volgger, e infine Leopold Steurer, il quale ha in un certo senso riattualizzato il vecchio saggio pubblicato da Claus Gatterer nel 1989 (Südtirol und der Rechtsextremismus, poi ripubblicato nella raccolta Aufsätzte und Reden, sempre per i tipi di Raetia) che aveva già individuato nel sentimento della “paura primigenia” e nella sindrome della catastrofe etnica la causa del soggetto trattato.
Recuperiamo il senso della domanda iniziale: a cosa si deve la persistenza o persino l’intensificazione del fascino che molte persone subiscono nei confronti di orientamenti politici improntati alla divisione e al segregazionismo? Secondo Günther Pallaver nel passato i partiti, i movimenti e i raggruppamenti di estrema destra collocati ai margini del sistema politico avevano poco successo. Ma con il rafforzamento di un orientamento generale conservatore, ritenuto maggiormente in grado di consolidare un tessuto sociale colpito da spinte frammentanti, si è nel tempo costituita e allargata una zona grigia capace di acquisire consenso anche tra i seguaci del pensiero democratico e liberale, inclinando così a rendere plausibile – se non addirittura desiderabile – il ricorso all’autoritarismo, ad una guida verticistica dello Stato e soprattutto a non nascondere più il gradimento nei confronti della purezza e alla compattezza etnica. “Besonders der Rechtspopulismus – riassume icasticamente Pallaver – kann als Steigbügelhalter des Rechtsextremismus angesehen werden”.
Ma dove è possibile osservare, meglio che in altri luoghi, questa rinascita dell’estremismo di destra che, sempre secondo Pallaver, adesso non ha più neppure il problema di mascherarsi in panni formalmente accettabili, ma è tornato ad esporre con fierezza in pubblico la sua cupa simbologia? Proprio nelle zone di confine, come la nostra, la percezione ravvicinata del “diverso” può originare l’idea di una distanza da approfondire e il seguente riflesso a produrre una demarcazione ancora più netta tra “noi” e “loro”, enfatizzando insomma ciò che divide rispetto a ciò che unisce. In Alto Adige/Südtirol abbiamo avuto un lungo conflitto animato proprio dall’insistenza dei rispettivi nazionalismi e dagli estremismi di destra che se ne nutrivano. Adesso che il quadro autonomistico ha curato i presupposti più eclatanti del dissidio, è il fastidio dello “straniero”, l’ostilità per il “migrante” a fornire il carburante per nuove battaglie identitarie: “A differenza di ieri – scrive Giorgio Mezzalira – l’estrema destra italiana ha un peso politico ridotto, ma le tensioni sociali causate dalla crisi e dai fenomeni migratori aprono immense praterie a tutti coloro i quali fanno professione di sovranismo e xenofobia”. Se non vogliamo ritrovarci davvero gli estremismi di destra in salotto è opportuno studiare bene la loro fenomenologia e disinnescarne i meccanismi di affermazione.
ff – 28/19