Dobbiamo all’incontro di due date con un libro – libro che sfrutta l’occasione fornita da queste date, ma non si riduce affatto all’esercizio di una mera commemorazione – se oggi è possibile riparlare del poeta sudtirolese Norbert Conrad Kaser (o come si firmava lui, senza maiuscole, norbert c. kaser). Le date indicano ovviamente gli estremi di una vita, collocando a una distanza di settanta anni la nascita, e quasi a cinquanta la morte (1947-1978); il libro invece consegna al presente e al futuro un ampio compendio dei suoi scritti (“rancore mi cresce nel ventre”. Poesia & prosa 1968-1978. Un’antologia. Testo originale a fronte. A cura di Toni Colleselli, traduzioni dal tedesco di Werner Menapace, Edizioni alphabeta Verlag).
Ma chi era Norbert Kaser? Alexander Langer ne ha tratteggiato la figura illuminando retrospettivamente la scena del suo funerale mediante un riflettore politico: “Norbert era morto d’isolamento all’età di 31 anni: sempre più profondamente immerso nell’alcol e nello sforzo estremo di scuotere, di comunicare qualcosa, di graffiare” (“Funerale laico con Tedeum”, 1980). Comunicare per graffiare, dunque, e il rancore come combustibile che rende incendiari i suoi versi. La formula estratta è lapidaria (“un dissidente”), eppure la condensazione potrebbe apparire oggi non intuitiva e certo non rende giustizia al valore complessivo (non soltanto politico) di un’esperienza che, al pari di un Erker, sporge al di fuori della facciata generazionale. Di questo non si accorse neppure un finissimo lettore come Claudio Magris, il quale ha peccato di ingenerosità decretandolo “autore rispettabile” a causa, in primo luogo, della fortuna con la quale gli scrittori tirolesi potevano allora imporsi in un contesto contrassegnato dal conformismo della Heimat: “…è facile essere uno scrittore osteggiato e meritarsi considerazione in virtù della prepotente ostilità dei benpensanti. Atteggiamenti letterari che in un contesto culturale sarebbero puberali o patetici, in Alto Adige hanno ancora un valore contestativo” (C. Magris, “Antholz”, in “Microcosmi”, Garzanti 1998). Vero in parte, perché un testo viaggia nel tempo e magari (com’è il caso di una traduzione) anche da lingua a lingua. Allora può accadere che tali vincoli si sciolgano, fino a liberare potenzialità espressive rimaste latenti nella retorica dell’Eingeklemmt, dell’uomo incastrato o soffocato in un malessere talmente acuto da mozzare persino il respiro alle sue parole.
La liberazione di Kaser dal cliché agiografico del ribelle incompiuto potrebbe così cominciare proprio adesso, nel proporlo a un pubblico nuovo e ancora tutto da conquistare. Werner Menapace ha colto l’essenziale della sua traduzione in questo modo: “L’immagine, il personaggio che vorrei si presentasse al pubblico italiano è quello di un grande poeta che dall’interno del suo mondo e del suo tempo ha saputo generare, con la sua straordinaria creatività linguistica e poetica, una letteratura, un mondo di valore universale e senza tempo”. Bastano pochi esempi per rendersene conto. Si pensi al bellissimo, aspro testo “der wind treibt den schnee” (“il vento fa girare la neve / e me come / moneta falsa / che la mia pancia sia / secca al tatto / come una cozza / succhiata buttata / al sole / non riguarda nessuno”) o al celebre “die laerche” (“vorrei essere un larice / non dover bere / né fumare / non dovermi muovere / lasciarmi solo / ondeggiare”). Figlio della sua terra e delle angustie che la segnavano, il canto che qui si ascolta abbandona la Einfallslosigkeit (la “mancanza di idee”) di un’origine fangosa e si libra verso l’alto, proprio come l’astore sbranagalline, la poiana che chiude forse la lirica più struggente che sia mai stata dedicata all’Alto Adige (Alto Fragile, si legge in una poesia del 1968) Südtirol.
La domanda da porci, alla fine, è come conciliare questa istanza di liberazione con il recupero di una fedeltà testuale che riporterebbe, nello spazio teso tra la piccola casa sudtirolese e la grande casa di una auspicata ricezione nazionale, l’opera di chi può davvero essere definito come il “maggiore poeta italiano di lingua tedesca”. Sorella ladina di Kaser, e per questo anche madre postuma che ne ha lenito il rancore, la poetessa Roberta Dapunt ha scritto: “E dunque, giovane Kaser, alla letteratura sudtirolese, a quella altoatesina / va il merito di essere ciò che è per natura: un nome composto di lingue diverse. / Nostra letteratura è il melo, il suo ramo d’innesto, / la pianta in sviluppo sul callo cicatriziale di un’ibrida alleanza politica. / Kein schöner Land, noi siamo chimera alpina”. Un lascito che perciò può essere inteso anche al pari di una nuova nascita, annunciata nella forma di una sorpresa non più sovversiva, ma sovvertitrice: “Alla lettura approfondita delle opere di Kaser – ha osservato Francesca Melandri, che presenterà il volume a Brunico – si arriva con l’aspettativa di godere pericolosamente delle sue spettacolari rabbie e invettive, peraltro sottolineate dal titolo scelto per questa raccolta. Quello che forse ci si aspetta meno, che almeno per me è stata una grande scoperta, è la variegata tenerezza, spesso colorata di umorismo sornione, con cui i suoi versi accarezzano le cose del mondo, soprattutto quelle più piccole e lontane dal Potere, come i bambini”.
Corriere dell’Alto Adige, 21 settembre 2017