Scherzare col fuoco

La notizia è ormai di dominio pubblico, rimbalza con una certa continuità e figura in bella (si fa per dire) evidenza anche sui media nazionali e internazionali. Basta inserire in un qualsiasi motore di ricerca le parole “Corona”, “Covid” e “Party” e verrà subito suggerito il complemento di luogo: Alto Adige, Südtirol. Di cosa si tratti l’ha spiegato bene il fotografo meranese Andrea Pizzini, da alcuni mesi impegnato a documentare ciò che avviene all’interno delle terapie intensive di Bolzano e Merano: «Quando ho sentito le “voci” sui possibili Corona Party – ha scritto sulla sua pagina Facebook – non ho voluto crederci. So come la gente tende ad esagerare e allora preferivo ignorare il tema e raccontare sempre solo quel che vedo o che sento da persone di cui ho fiducia massima. Ma poi ho notato che quando giravano le voci di una certa “festa” in qualche zona dell’ Alto Adige regolarmente, come un orologio, dopo una o due settimane si vedevano arrivare gruppi di pazienti provenienti da quelle zone. Prima da Renon, poi dalla Val Passiria, dalla Val Venosta, e così via». Perché poi lo si faccia è presto detto: un misto di spavalderia, insubordinazione giovanile o giovanilistica, tentativo di procurarsi la certificazione verde evitando i vaccini.

Ora, il fenomeno non era sconosciuto e la specialità non può essere attribuita solo al nostro territorio. Consultando la pagina Wikipedia “Covid-19 party” si trovano informazioni che ci portano per esempio negli USA, e qui la letteratura specializzata tende piuttosto a minimizzare: «Non ci sono prove verificabili di feste organizzate in modo che le persone si infettino intenzionalmente. Tali storie sono state paragonate al folklore o qualificate come leggende urbane». Al contrario, sui mezzi d’informazione in lingua tedesca (germanici e austriaci) si attribuisce molta credibilità a queste “voci” e non mancano (anche a scopo d’ammonimento) reportage su storie individuali finite in modo tragico.

Anche se però si trattasse solo di “voci”, o di casi scaturiti da una millanteria da strapazzo, non dovremmo fingere che alla base di tali possibili derive “demenziali” non esista una tendenza più generale, anche se magari poi non giunge ad esprimersi sempre in gesti così dissennati. Qui interagiscono infatti due fattori potenzialmente devastanti, soprattutto perché strettamente legati: il primo si basa sulla sottovalutazione e dimenticanza della pandemia, sia riguardo a ciò che essa ha già causato alla nostra società, sia rispetto a quanto essa ancora potrebbe provocare se abbassassimo il livello di controllo; il secondo è il considerare gli effetti di una malattia globale soltanto dal proprio ristrettissimo punto di vista, come se insomma tutto quanto è accaduto e sta accadendo si sciogliesse al sole cocente di una decisione personale in grado di rendere conto solo di se stessa, perché in fondo, si crede, il mondo è solo una nostra rappresentazione. Mutando tutto ciò che può essere mutato, un atteggiamento del genere volgarizza e conduce all’assurdo l’antica dottrina filosofica del “solipsismo”, secondo la quale l’esistenza delle cose (ma anche degli altri) non è che un riflesso inconsistente di quello che si svolge all’interno della propria coscienza.

Coscienza che dista pochissimo dall’incoscienza, peraltro, e talvolta ci sprofonda stolidamente dentro, come la pratica o la diceria delle feste organizzate per infettarsi illustrano in modo inequivocabile.

Corriere del Trentino / Corriere dell’Alto Adige, 23 novembre 2021

Guardia alta, meno scontri

Dunque il colore che tutti temono, il giallo, non è solo all’orizzonte: ci siamo già con un piede dentro. Forse siamo addirittura all’arancione e fingiamo di non accorgercene. Ciò che desta maggiore preoccupazione è la tendenza complessiva. L’assessore Widmann ha parlato all’inizio della settimana di un drammatico aumento dei contagi e di una quarta ondata che nessuno, al momento, può promettere di riuscire a fermare. Dovranno essere ridefinite le strategie finora adottate? Dobbiamo aspettarci una nuova mossa fuori dagli schemi dei provvedimenti stabiliti su base nazionale? Secondo il governatore Kompatscher il problema poggia anche sulla scarsa disciplina di parte della popolazione, che non rispetterebbe le regole. Il pericolo di un’accentuazione delle misure di contenimento della pandemia, e quindi di un relativo inasprimento dello scontro tra posizioni diverse, è concreto, e mai come stavolta sarebbe necessaria ponderatezza, disponibilità al confronto e capacità persuasiva.

Al fine di favorire tale sviluppo, è utile tenere sullo sfondo non soltanto l’orientamento che noi gradiremmo venisse confermato. Ma anche l’indirizzo di pensiero diverso. Facendo leva su un minimo grado di empatia, cerchiamo così di leggere i dati con gli occhi di chi attualmente sta contestando le misure adottate dai nostri governi al fine di contrastare la diffusione del contagio: in primo luogo da parte di chi continua a considerare la vaccinazione inutile oppure persino dannosa. Non tutte le preoccupazioni e le perplessità espresse si originano da teorie complottiste inverificabili o sfocianti in una paranoia di massa. In un libro davvero illuminante, pubblicato di recente dalla filosofa Donatella Di Cesare, leggiamo: «Oggi più che mai va difeso ed elogiato il sospetto. Il che non equivale a reificarlo, come avviene con il dubbio dell’iperscettico che finisce per essere un ipercredulo» («Il complotto al potere», Einaudi).

Se insomma è ragionevole sostenere che i vaccini siano uno strumento in grado di contenere gli effetti della pandemia entro limiti più sopportabili, non bisogna demonizzare la critica che (in assenza di un obbligo vaccinale) continua a interrogarsi sul senso di una chiusura a tappeto di qualsiasi attività alla quale non potrebbe più accedere chi (per convinzioni personali difficilmente erodibili) abbia comunque deciso di non farsi vaccinare. Da questo punto di vista riacquisterebbero spessore quasi nostalgico le valutazioni di chi difendeva la tanto vituperata certificazione verde scelta dall’Italia, capace di assicurare comunque una maggiore libertà e un controllo più stretto sullo stato dei contagi rispetto a quanto sta già avvenendo oltre confine, per esempio in Austria, dove il precipitare degli eventi ha reso necessario introdurre prima un lockdown selettivo, e poi addirittura una chiusura totale in Oberösterreich e Salisburgo.

Dopo aver mostrato disponibilità all’ascolto, occorre comunque ribadire alcuni punti fermi sul piano politico. E qui due cose assumono un profilo innegabile. A meno di non voler considerare la pandemia una costruzione mitologica, escogitata per mettere in pratica la distopia orwelliana, non è possibile seguire in nessun modo chi affermasse il ricorso a scelte individuali insensibili a una ricaduta pubblica dei propri comportamenti. La prova, e siamo alla seconda evidenza di cui sto parlando, è che le proteste sinora emerse non hanno per fortuna trovato una sponda politica disposta a farsene carico, persino all’interno di quei partiti che in genere sono soliti cavalcare gli umori più irresponsabili. In questo passaggio abbiamo bisogno di tutto, fuorché di un aumento del livello di scontro.

Corriere dell’Alto Adige, 19 novembre 2021