Devono rispettare le nostre regole

Altrimenti? Altrimenti ce le calpestiamo da soli, le nostre regole. Come peraltro siamo abituatissimi a fare. È con un marcato senso di nausea, di profondo disgusto, che ci tocca leggere notizie come queste.

“EGNA. Gli ha urlato di scendere immediatamente dal treno, poi gli ha gettato i documenti dal finestrino e, quando il passeggero è sceso per raccoglierli, il controllore ha chiuso le porte e fatto ripartire il convoglio lasciando l’uomo a terra. È accaduto a Egna quando il treno s’è fermato in stazione.


L’episodio è accaduto venerdì della scorsa settimana verso l’ora di pranzo. Il treno è il regionale 10920. Una coppia giovane, di origini pakistane, sale sul treno regionale che da Trento porta a Bolzano. Passa il controllore – probabilmente veneto – e chiede il biglietto alla coppia straniera, che ne è sprovvista. Il controllore inizia ad alzare la voce e richiede più volte il biglietto ai passeggeri. Ai due stranieri viene quindi ordinato di scendere quando il treno è all’altezza della stazione di Egna. Vedendo che la coppia non ne vuole sapere, il controllore chiede i rispettivi documenti. Mosso da un gesto di stizza, li lancia poi all’esterno del vagone attraverso il finestrino. I documenti terminano sulla panchina lungo il binario. Il passeggero scende di corsa per riprendere i propri effetti personali. Nemmeno il tempo di raccogliere i documenti che il controllore ordina di chiudere le porte e far ripartire il treno, lasciando l’uomo a terra e la moglie sola sul treno. La donna scoppia a piangere.

A questo punto il controllore ritorna orgoglioso nello scompartimento a prendersi gli applausi di alcuni passeggeri. Ma non tutti sono d’accordo e chiedono spiegazioni al controllore che replica: «Ne vedo ogni giorno di questi episodi, spesso gli stranieri sono senza biglietto e con loro bisogna usare questi metodi per fargli imparare la lezione. Devono rispettare le nostre regole».

Ma altri passeggeri hanno ritenuto l’accaduto umiliante ed eccessivo: «Non sarebbe successo se il passeggero fosse stato italiano». (Alto Adige, 29 novembre 2009)

L’etnia dei cretinetti

Generalmente ci si passa sopra. Alla parola “etnia”, dico. Chi la usa non sa bene cosa dice, chi l’ascolta non sa bene cosa comprendere, ma ci si passa sopra, forse perché si pensa che questo malcerto concetto possa essere considerato un sinonimo di “gruppo linguistico”. Ma sbagliamo. Non dovremmo passarci sopra. Non dovremmo arrenderci all’uso disinvolto di simili termini. Se leggiamo per esempio questo singolare post [QUI], scritto in margine a una recente visita del Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano in Kamtschatka, non si può fare a meno dall’intervenire. Secondo Lorenz Puff (referente del movimento ST-Freiheit per la città di Bolzano) in Sudtirolo esisterebbero due etnie: tirolese e italiana… (stupefacente: una denominazione geografica – Tirolo – diventa buona per la definizione di un’etnia – l’etnia tirolese! – che includerebbe tedeschi e ladini ma lascerebbe fuori gli italiani). Che dire? Sembra che l’autore si sia scordato che qui da noi esiste almeno un’altra etnia. Quella dei cretinetti (è un’etnia trasversale e plurilinguistica). Alla quale sicuramente appartiene chi afferma cretinate del genere.

Un referendum contro i minareti

Domenica prossima, 29 novembre, gli svizzeri vanno alle urne per votare con un referendum (da loro funzionano) la proposta della destra nazional-conservatrice che vorrebbe impedire la costruzione di nuovi minareti accanto alle moschee (anche in questo gli svizzeri sono più avanti di noi e la presenza di luoghi di culto per confessioni diverse da quella cristiana non è in discussione). Mi propongo di svolgere una riflessione più ampia su questo tema, intanto un piccolo Amuse-Gueule tratto da un blog interessante: QUI.

Eugenio

La domenica compro sempre Repubblica e mi leggo subito il fondo di Scalfari. A Scalfari voglio bene, perché ho cominciato a leggere i suoi articoli prestissimo, avevo 15 anni, e il suo giornale ha sicuramente contribuito a formarmi. Quando abitavo in Germania, ricordo, la ricerca di una copia di Repubblica e la sua meticolosa lettura erano un po’ l’unico modo per coltivare la mia identità di italiano all’estero. Ricordo con nostalgia quei momenti, a Brema, ad Heidelberg.

Ho fatto questa premessa per dire che stamani non ho comprato Repubblica, così il fondo di Scalfari l’ho letto in rete qualche minuto fa. Peccato, perché se l’avessi letto stamani avrei avuto per tutto il giorno un sorrisino beffardo stampato sulla faccia.

http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/scalfari-editoriali/22novembre/22novembre.html

Stronzo

È probabile che si parlerà per qualche giorno di Gianfranco Fini e della sua esternazione: “chi discrimina gli stranieri è uno stronzo”.  A caldo, e un po’ per scherzo, a tutti viene magari da pensare che finalmente il Presidente della Camera è diventato uomo di sinistra e dunque è passato dalla parte della ragione (che sta sempre a sinistra, ci mancherebbe). Altri diranno che proprio per questo motivo Fini sta impazzendo. La verità è un’altra e l’ha messa bene a fuoco oggi Sergio Romano, rispondendo sul Corriere a un lettore che affermava “Fini è libero di cambiare opinione, ma le sue nuove idee politiche di sinistra vada a discuterle con i comunisti e non all’interno del Pdl”. Romano ha risposto così: “Non vedo come un partito della libertà potrebbe mettere alla porta l’esponente della sua ala più liberale senza smentire se stesso” (in realtà lo potrebbe benissimo, una volta acclarato che quel partito è tutto fuorché un partito della libertà e che, soprattutto, la cosiddetta ala moderata conta come il due di briscola). Commentando invece il video che ho postato qui sopra, un utente di destra ha così bollato l’ex massimo dirigente di Alleanza Nazionale: “AHAHAHAH FINI SEI SOLO UNO STRONZO!”

Contro le menzogne dell'”utilizzatore finale”

Com’è ampiamente noto, la principale ricetta del successo di Silvio Berlusconi presso una larga parte di connazionali è questa: li subisso di menzogne, che ripeto e faccio ripetere, finché si sarà perso ogni discrimine tra falso e vero, prima, finché il falso sarà preso per vero, poi. In breve: li prendo per il culo. E ci riesce benissimo, a quanto pare. Per sottrarsi a questo influsso malefico dobbiamo attaccarci ai nudi fatti (quelli rimasti) e considerarli alla stregua di una zattera o di una scialuppa di salvataggio. Sulla zattera-scialuppa una vela di carta, scritta e riscritta. Eccola: [leggi]

Va spezzato il cerchio dell’impotenza

A novembre le scuole celebrano il rito del ricevimento dei genitori. A questo proposito, vorrei mettere a fuoco un particolare che riguarda in modo specifico la materia da me insegnata (italiano, in una scuola superiore in lingua tedesca della Valle Isarco). Sono comunque sicuro che il caso in questione potrebbe risultare analogo, sebbene in forme e proporzioni diverse, anche per la materia corrispettiva, cioè per il tedesco insegnato nelle scuole in lingua italiana di Bolzano.

Quando faccio presente ai genitori che le carenze linguistiche dei figli dovrebbero essere affrontate non solo con un maggiore impegno e slancio nello studio, bensì anche mediante la ricerca di un contatto più esteso e soprattutto continuo con l’altra lingua, questi (sette volte su dieci) mi rispondono: “È vero, ma sa, dove viviamo noi, nel nostro ambiente, nel nostro cerchio di amicizie, praticamente non ci sono italiani”. Si tratta di una risposta che non lascia scampo, un po’ come se si allargassero le braccia e si volesse far capire che condizioni oggettivamente avverse vanificano anche le migliori intenzioni. È così, insomma. Bisogna capirlo. Bisogna accettarlo.

Qui, a mio avviso, si squarcia il velo di una grande ipocrisia. Essa consiste nell’attribuire alla lingua, alla seconda lingua da apprendere, uno status che non ha mai raggiunto (per lo meno a livello diffuso). Noi diciamo “seconda lingua”, ma dovremmo dire piuttosto “lingua straniera”. Quando l’italiano e il tedesco vennero definite istituzionalmente “lingue seconde”, si volle probabilmente indicare una prospettiva di sviluppo, alimentare una speranza, piuttosto che fotografare la situazione reale. Per la maggior parte della popolazione altoatesina e sudtirolese, però, la condizione d’appartenenza a contesti nei quali è presente o comunque prevale una sola lingua (la cosiddetta lingua materna) sottrae tuttora spazio alla speranza di chi voleva (e ancora vorrebbe) vedere nel Sudtirolo un territorio progressivamente orientato al plurilinguismo. “Dove viviamo noi non ci sono italiani”, questa frase significa: non abbiamo l’opportunità di considerare l’italiano la nostra seconda lingua, per noi è un mondo distante, estraneo.

Ora, come si può riuscire a spezzare questo cerchio d’impotenza e rassegnazione? La sensazione è che da un modello di società composta da gruppi “accostati” stiamo slittando verso una società di gruppi sempre più indifferenti, più “stranieri” gli uni rispetto gli altri. Bisognerebbe fare qualcosa per fermare questa deriva, prima che sia troppo tardi.

Il Corriere dell’Alto Adige, 20 novembre 2009

Colpo di mano

La Francia, paese repubblicano, venera i suoi santi. Tra le contemporanee icone figurerà tra non molto Saint Thierry (Henry). Come Saint Zinedine (Zidane), già oggetto di culto e venerazione per i suoi colpi di tacco (e pure di testa), Saint Thierry assurgerà definitivamente alla gloria della chiesa gallicana del foot per un colpo di mano. Non ci mancava, per la verità. Altre immagini, e altre storie ne scolorano subito l’importanza. Quelli della mia generazione porteranno sempre, incancellabile, la memoria della “mano de dìos” che infligge un colpo mortale all’Inghilterra nel 1986, mondiali del Messico. L’Onnipotente, incarnato nella sgraziata figura di Diego Armando, genio assoluto della pelota e simbolo dell’impossibile salvezza di chi esce dal barrìo. Riscatto nazionale, dissero i profani, all’epoca: c’era da vendicare il disastro militare delle Falkland (Malvinas, per gli argentini), ma solo gli stolti poterono confondere il miracolo del guitto con la nostalgia di un tremendo regime militare in agonia (che d’altronde si comprò anni prima il suo mundial, nel 1978: a ogni gol di Kempes i colonnelli guadagnavano in consenso e gli oppositori sparivano nell’oceano). Il calcio non è mai neutro, ma metafora dai contorni sfumati del nostro tempo. Anche la grandeur francese, così, si abbassa al livello della nostra epoca grigia. Sarkozy presidente rilascia una tronfia intervista dopo un match di spareggio vinto grazie a una scorrettezza. Ah! Se fossero stati les italiens a passare così non si sarebbe che rafforzato un cliché vetusto. Forse non è cambiato nulla, sotto questo profilo. I francesi non si sono scoperti più latini, intendiamoci, con tutta una storia – e un’antropologia – del sotterfugio e dell’inganno: a leggere oggi i giornali, ufficialmente si evidenzia la faute de jeu. Ma non c’è dubbio che ieri sera molti hanno goduto, magari di nascosto, e ringraziato in cuor loro quel santo profano dalla pelle scura. Magari dopo aver festeggiato a Barbès, assieme a molti altri, la qualificazione dell’Algeria. [rk]

La forma logica

Secondo un’applicazione un po’ lasca di una medesima forma logica ad eventi incomparabili (e tuttavia comparati), si potrebbe dire: Lasagna ist nicht Pastasciutta. Se ne traggano poi le conseguenze del caso, ovviamente non rinunciando a considerare che “o Franza o Spagna pur che se magna”.