Grandi ambizioni per ottenere piccoli risultati

michael-demanega

Ogni tanto si torna a parlare della Politica con la “p” maiuscola. L’espressione vorrebbe alludere a qualcosa di profondamente diverso rispetto a una politica spicciola, non tanto in senso meramente amministrativo, quanto piuttosto quando quest’ultima finisce con l’aderire troppo agli interessi quotidiani, contraendo la sua funzione di progetto o di orientamento generale.

Se i rischi di una tale contrazione sono chiari, meno indagati risultano quelli connessi a un’enfasi eccessiva posta proprio su temi suggestivi e intessuti di concetti roboanti: storia, umanità, giustizia, libertà. Non è un mistero che il motivato ricorso a tali concetti accade perlopiù in tempi di estrema difficoltà, in situazioni di conflitto, e dunque essi andrebbero adoperati con la parsimonia dettata dalla rarità delle occasioni che riescono a legittimarli.

Mi sono venute in mente queste osservazioni leggendo il piccolo libro di Michael Demanega presentato alla stampa pochi giorni fa e intitolato semplicemente Südtirol. Anche Demanega, che nella vita fa il segretario generale dei Freiheitlichen, ha evidentemente sentito l’esigenza di pensare alla Politica con la “p” maiuscola. Infatti, il suo testo è suddiviso in tre sezioni significativamente chiamate “Fondamenti” (Grundlagen), “Scelte decisive” (Weichenstellungen) e “Prospettive” (Perspektiven). Ogni pagina è percorsa da un grande pathos e l’idea di fondo è che, pur avendo raggiunto un ottimo livello di vita, i sudtirolesi siano ormai sull’orlo di una probabile catastrofe identitaria ed economica (ma Demanega insiste soprattutto sul primo aspetto) se non saranno capaci di correre subito ai ripari. Come? Ovviamente staccandosi dal resto d’Italia e fondando un piccolo Stato di matrice etnica in grado di proteggerli da Roma e da Bruxelles. Agli italiani che vivono qui Demanega suggerisce poi di agevolare un processo del genere ignorando che già l’accettazione dell’autonomia, per loro, rappresenta un’impresa ancora da consolidare.

Non è superfluo ricordare che il pathos tragico di Demanega traduce il suo circoscritto vissuto. Il ragazzo (mi permetto di chiamarlo così, essendo nato nel 1986) proviene da Salorno e ammette di aver molto sofferto la prossimità al “confine linguistico”, troppo liquido o poroso. Quello che però colpisce è come si possa coltivare aspirazioni apparentemente così grandi (fondare addirittura un nuovo Stato) per puntare a risultati infimi. Se oggi, in Sudtirolo come altrove, la Politica con la “p” maiuscola non può che essere declinata in chiave indipendentista o separatista, allora molto meglio continuare a preferirle la dimensione dei piccoli aggiustamenti e delle riforme di cui abbiamo veramente tutti bisogno.

Corriere dell’Alto Adige, 16 aprile 2014

Referendum: una confusione da controllare

rothko_no14

La parola ai cittadini. Sembra essere questa la tendenza che si sta inarrestabilmente imponendo nel discorso pubblico contemporaneo. E’ uno sviluppo comprensibile, motivato da un giustificato sospetto nei confronti della politica professionale, ma che ci espone anche a rischi forse non compresi in tutta la loro pericolosità.

Innanzitutto è necessario sgombrare il campo da un malinteso. Criticare questa tendenza, limitare cioè le pretese di chi nega legittimità al livello professionale della politica – vale a dire ciò che noi intendiamo comunemente con il concetto di democrazia rappresentativa – non significa affatto augurarsi che i cittadini tacciano o parlino una volta ogni cinque anni. E’ giusto, persino sacrosanto, che la partecipazione venga estesa; se le forme tradizionali attraverso le quali essa si è finora manifestata non vengono avvertite come sufficienti, non bisogna lesinare gli sforzi per trovarne altre, possibilmente più efficaci. Il dubbio riguarda semmai la versione assolutistica che sempre più spesso riduce quelle forme tradizionali a mero repertorio di un passato da seppellire per sempre, considerandolo quindi negativo in blocco.

Per osservare più da vicino il fenomeno, basta riflettere su quanto sta avvenendo a proposito dell’istituto democratico che meglio interpreta – o come dovremmo piuttosto dire, interpreterebbe – la tendenza partecipativa suddetta, ossia il referendum. Chiamare i cittadini a decidere su questioni che interessano direttamente la loro vita è uno strumento indispensabile al fine di pervenire a determinate decisioni. Sarebbe però sbagliato sostenere che ogni tipo di decisione debba, da qui in avanti, essere riferito alla responsabilità di un giudizio esprimibile soltanto nei termini di una consultazione popolare orientata sbrigativamente al “sì” e al “no”. Occorrerebbe, piuttosto, circoscrivere gli ambiti d’intervento, scegliendo consapevolmente di utilizzare i referendum come atto complementare, non sostitutivo di un più mediato (e meditato) processo di elaborazione politica. Del resto, persino i fautori più accesi della democrazia diretta sanno bene come la qualità della loro proposta non consista tanto nel momento finale, quello del voto, bensì nel difficile lavoro di coinvolgimento preparatorio, formalmente (almeno così dovrebbe essere) allergico alle semplificazioni.

Ma proprio questo è ciò che purtroppo non sta accadendo. In questi giorni, anche nel nostro Sudtirolo, stiamo assistendo a una situazione singolare, secondo la quale là dove un referendum potrebbe essere utilizzato proficuamente, per esempio a Bressanone, a proposito della costruzione della funivia, non si è riusciti neppure a convenire sulla sua formulazione; mentre in un altro contesto, all’apparenza inadatto a sollecitare tutta la cittadinanza, parliamo di Bolzano, riguardo alla risistemazione dell’area antistante la stazione ferroviaria, il tentennamento della politica sta producendo la disdicevole sensazione che senza il ricorso del voto popolare non sia possibile muovere alcunché. Per non parlare poi della ricorrente aspirazione – sostenuta, qui come altrove, da apprendisti stregoni dediti a riflessioni improvvisate e a forte contenuto emozionale – a spingere i cittadini (anzi, l’entità mitologica del “popolo”) a schierarsi addirittura su faccende di geo-politica. Tutti segnali di una confusione che dovremmo sforzarci di tenere sotto controllo.

Corriere dell’Alto Adige, 1 aprile 2014