L’integrazione tra assimilazione e scambio

Ogni dibattito sull’immigrazione si blocca e s’incattivisce quando chi vi partecipa non riesce a ridurre la polarizzazione dei punti di vista. Da un lato chi scorge in questo fenomeno solo elementi di rischio e pericoli connessi alla diversità culturale; dall’altro chi fa valere la priorità dell’accoglienza ed è disposto a considerare l’arrivo degli stranieri come un fattore di aproblematico arricchimento. La polarizzazione non consente però che emergano quei punti fermi a partire dai quali potrebbe scaturire un’opzione più vicina alla realtà delle cose. All’approssimazione succede così l’irrigidimento ideologico, che sbarra la strada a qualsiasi tentativo di comprendere perfino quello di cui si vorrebbe parlare. Un classico esempio, a questo proposito, è dato dal concetto di “integrazione”.

Almeno nominalmente, non c’è nessuno che sia contrario all’integrazione o che si pronunci apertamente per una sua negazione. Tutti la vogliono, tutti la cercano. Ma finché non avremo ben chiaro che cosa intendiamo, anche questo accordo preventivo rischia di saltare e di essere sommerso dal frastuono dei nostri pregiudizi. Per fare un passo avanti si tratta dunque di stabilire una definizione di base che possa poi aiutarci a orientare una determinata produzione sociale.

Nel caso dell’integrazione accade purtroppo che il suo significato sia per lo meno duplice e dunque intrinsecamente ambiguo. Possiamo in sostanza intendere sia un processo secondo il quale il gruppo A si integra nel gruppo B fino a scomparire in esso, perdendo cioè completamente le sue caratteristiche di partenza. Oppure possiamo alludere a un processo che salvaguarda alcune di queste caratteristiche, non impedendo al contempo che esse divengano un tratto costitutivo dell’identità del gruppo integrante. Il primo processo corrisponde al modello di un’integrazione pensata mediante la categoria dell’assimilazione (A si annulla e diventa B). Il secondo corrisponde invece alla categoria dello scambio (A si aggiunge a B, e viceversa).

È uno dei compiti cruciali della politica futura decidere quale modello d’integrazione abbiamo intenzione di praticare, perché dichiararsi semplicemente a favore dell’integrazione non significa altro che certificare l’ineluttabile necessità di rapportarci a ciò che è altro da noi senza sapere in che modo questo possa concretamente avvenire. Assimilazione o scambio: volendo sottrarre il governo del fenomeno migratorio a una sterile contesa ideologica, il calcolo dei suoi costi e dei suoi guadagni non può prescindere da questa strategica scelta di fondo.

Corriere dell’Alto Adige, 30 aprile 2010

Il vantaggio

Il vantaggio di gestire un blog che si chiama “Sentieri Interrotti” consiste nella liberazione dalla piccola angoscia di annunciarne la fine. Un blog che si chiama come si chiama questo può tranquillamente finire senza troppe cerimonie o lacrimevoli commiati. Oggi c’è e domani sparisce. Il sentiero s’interrompe e non riprende. Oppure riprende, come se nulla fosse, dopo qualche giorno. Si sarà capito, volevo insomma mettere un po’ le mani avanti…

Considerazioni

Ieri sera ho assistito a una manifestazione molto interessante. Renate Holzeisen era a Bressanone, ospite della Lista Eco-Sociale, e ha parlato del “sistema” Sudtirolo. “Sistema” è una parola accentata negativamente (Saviano la usa a proposito della Camorra, non come sinonimo ma come accentuazione o inveramento). Che anche in Sudtirolo esistano atteggiamenti e pratiche ben lontane dal quadro idilliaco che ci viene proposto è qualcosa di noto. Ma finché non c’è qualcuno che te lo dimostra – dati circostanziati alla mano – si rimane al livello di superciukkate qualunque.

In fin dei conti la tesi della bravissima Holzeisen è semplice (e condivisibile). Decenni di potere ininterrotto hanno dato vita a un apparato che mantiene se stesso piegando la legalità ai propri fini di automantenimento, mischiando disinvoltamente interessi privati e pubblici, prendendo decisioni in barba a qualsiasi istanza di trasparenza e soprattutto facendo credere alla popolazione che nessun cambiamento sarà mai possibile.

Ma è soprattutto un’altra cosa, che mi ha colpito nel rapporto della Holzeisen. È il disprezzo (anche se espresso con molta eleganza) nei confronti di tutti coloro che affrontano la politica sudtirolese non andando al nocciolo dei problemi giuridico-economici. E questo perché andare al nocciolo di siffatti problemi presuppone una competenza e un rigore nella denuncia che ai più (incluso chi scrive) restano preclusi.

Il Sudtirolo ha un bisogno incredibile di gente così.

Elegia II

E avrei già voluto ricominciare. Per esempio tornando e ritornando a quei momenti che ti pensavo, sperando che lo stessi facendo anche tu. Come si contano delle piccole pietre rotonde e nere, levigate dal mare, raccolte su una spiaggia di notte, facendole brillare sul palmo della mano alla poca luce che c’era. Col telefono in tasca, aspettando il momento che ti avrei chiamata o che mi avresti chiamato. Ma con ancora qualcuno d’intorno, che aveva qualcos’altro da dire, anche se non lo stavo più a sentire.

Sabbia sporca, fredda. Poi  l’ombra di un canneto, oltre il quale, finalmente, si sentiva già chiamare. E i motori delle macchine che si accendevano.

Certificazioni linguistiche. Un’autonomia ancora sana?

di Francesco Palermo

L’approvazione della norma di attuazione che equipara al “patentino” altre certificazioni di conoscenza linguistica è una buona notizia. Com’è buona ogni notizia del rispetto del diritto. Giusto quindi riconoscere il merito a tutti gli attori impegnati nella vicenda, dalla Provincia al Governo, dall’attuale alla precedente commissione dei sei, dalla SVP agli alleati di giunta fino ai partiti di governo a Roma. A dimostrazione del fatto che quando si traccia un percorso condiviso, specie se volto a rispettare il diritto anziché a violarlo, i risultati arrivano.

La vicenda però deve far riflettere. Dalla sentenza della Corte di Lussemburgo sul caso Angonese (6 giugno 2000) all’approvazione della norma di attuazione (23 aprile 2010) sono passati quasi 10 anni. 3600 giorni. Una vita. Costellata di passi falsi, incertezze, marce indietro, tentativi di boicottaggio.

Se la buona notizia è dunque che l’adeguamento dell’autonomia al contesto sociale e giuridico che cambia è possibile attraverso i meccanismi previsti dalle strutture dell’autonomia stessa (le norme di attuazione), quella cattiva è che almeno in questo caso il processo è stato intollerabilmente lungo. Dunque l’autonomia è in grado di riformarsi ed evolvere, ma è troppo lenta nel farlo. E il tempo non è una variabile indipendente, né un fattore neutrale: una buona norma che arriva troppo tardi spesso non è una buona norma. La questione fondamentale dunque è capire se l’autonomia è in grado di svilupparsi in tempi ragionevoli.

Gli ostacoli che hanno impedito una più rapida approvazione della sospirata norma di attuazione sono di natura politica più che giuridica. Il giorno dopo la sentenza dei giudici comunitari, il Dolomiten titolò significativamente “Die EU kippt Säule der Autonomie”: lasciando intendere che la semplice necessità di riconoscere altri attestati di conoscenza linguistica oltre al patentino rappresentasse un attacco a uno dei pilastri dell’autonomia. Proprio qui sta il punto: una decisione che non discriminava nessuno ma anzi impediva una discriminazione nei confronti dei non residenti in Provincia, veniva interpretata come se si fosse trattato di abolire il requisito del bilinguismo. La SVP ha impiegato anni prima di “elaborare il lutto” di quella sentenza. Un trauma che non riguardava certo il fatto in sé (visto che il patentino non viene toccato dalla decisione), ma il dogma relativo alla presunta titolarità esclusiva dell’interpretazione dell’autonomia in capo alla SVP. Riconoscere l’ovvio, ossia che l’interpretazione dell’autonomia spetta non solo ad un soggetto ma a molti, compresi, ad esempio, i giudici europei, è stato e forse è ancora qualcosa che nella liturgia autonomistica non rientra. E’ questo che si fa fatica ad accettare. Ma è questa la realtà. L’autonomia non è di proprietà di nessuno, ma è necessariamente un progetto condiviso, al quale concorrono tanti soggetti con legittimazioni diverse.

L’ultimo tentativo di ostacolare l’adozione della riforma da parte della SVP risale a poco più di un anno fa, quando si propose di collegare la lingua delle prove di esame per i concorsi pubblici al gruppo di appartenenza, di fatto vanificando il patentino e gli altri attestati di bilinguismo. Fu poi la volta del governo nazionale che bloccò la norma di attuazione già elaborata dalla commissione dei sei per semplice ripicca politica. Ora finalmente questa intricata vicenda è arrivata alla conclusione. Evitando anche una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per mancato adeguamento al diritto europeo.

Che lezione se ne trae? In primo luogo, che i meccanismi di adeguamento che l’autonomia prevede funzionano, e bene. Il corpo dell’autonomia, i suoi organi vitali, sono ancora in ottima forma, nonostante il passare degli anni. Ed è una piacevole constatazione. In secondo luogo, però, la vicenda dimostra come la mentalità della classe politica nei confronti del cambiamento sia ancora basata su un atteggiamento di eccessiva prudenza e talvolta di chiusura. Ma un’autonomia che non si evolve nei tempi giusti e che resiste eccessivamente ai normali sviluppi sociali e giuridici, rischia di essere un’autonomia debole.

La nuova norma di attuazione può essere vista come la dolorosa infrazione di un tabù, o come una normale evoluzione del contesto. Se prevarrà la prima interpretazione, anche i prossimi cambiamenti, pure inevitabili, saranno lunghi e sofferti, e rischieranno di arrivare troppo tardi. Se si entra invece nell’ottica della normalità dei cambiamenti, che possono talvolta anche non piacere all’uno o all’altro ma fanno parte delle regole del gioco e delle vicende umane, allora l’autonomia sarà più forte e sicura. Gli strumenti funzionano ancora, ma un cambio di mentalità non è cosa da poco. Speriamo che questa vicenda rappresenti un tassello sulla via di un approccio “normale” all’autonomia. Nell’interesse prioritario dell’autonomia stessa.

Apparso sull’Alto Adige con il titolo “La lezione del patentino”

Dietrologia

Eccolo lì. Ché per dimostrare come dietro il personaggio Berlusconi ci sia stato bisogno di uno come Celentano è una trovata di quel geniaccio graffiante e sornione dell’Edmondo. Ach, Edmondo. Edmondo, perché ci hai lasciati soli? Ci manchi, sai? Tanto.

La riforma della giustizia

Canale satellitare, ora notturna. Mi capita la replica del TG delle 20. C’è una rubrica di approfondimento, stanco di uno zapping nevrotico mi fermo, incuriosito. Il tema è: “Riforma della giustizia”. Il conduttore intervista il ministro, che illustra le linee della riforma stabilite dal governo. Il ministro risponde alle domande con molta pacatezza, punto per punto, ma non sono sicuro di riuscire a cogliere tutto. Cerco di metterci più attenzione, e mi concentro. Apprezzo lo sforzo didattico del ministro. Capisco anche che deve impiegare un linguaggio tecnico.

Comunque sia, i punti che illustra con calma mi sembrano molto importanti. 1) La riforma della giustizia nel paese verrà fatta in accordo con le linee indicate dalla Commissione Europea, che prevedono in particolare l’enfasi sulla giustizia come servizio pubblico ai cittadini, il contrasto della criminalità organizzata e i fenomeni di corruzione nella pubblica amministrazione. Il governo si impegna (il ministro dice proprio “si impegna”, questo lo capisco bene) a modernizzare il sistema giuridico del paese per combattere tali fenomeni, dunque a dotarsi di leggi più efficaci allo scopo. Queste leggi si ispireranno alla legislazione europea più avanzata. Per dare peso alle sue parole – e così rendere pubblico l’impegno sottoscritto dal governo verso l’Unione Europea – il ministro legge tre articoli del memorandum di intesa. 2) La riforma prevederà una legislazione per impedire e contrastare i casi di conflitti di interesse, che sono di particolare delicatezza per il funzionamento delle istituzioni dello Stato.  3) Il governo investirà risorse per formare una magistratura di qualità, professionale e competente, che sia in grado di affrontare in autonomia le sfide del paese. 4) Il governo darà impulso al Parlamento affinché il diritto civile e penale possano essere semplificati, nelle procedure e nei tempi, in modo da venire incontro alle esigenze dei cittadini di un paese che vuole cambiare, nella certezza del diritto. Lo scopo è la modernizzazione giuridica.

Sono sconcertato. Non una smorfia, una parola fuori posto o un eccesso. Il giornalista fa domande, il ministro risponde con discorsi semplici. Tutto pare lineare e chiaro. Pure a me, che non ho una formazione giuridico-politica, che per metodo diffido dei politici in televisione e che, soprattutto, non parlo la lingua del ministro.

E già. Perché il ministro si chiama Catalin Marian Predoiu e ha parlato al TG nazionale rumeno, rubrica “Tema zilei”, “l’argomento del giorno”. [rk]