Schützen, il DNA non mente

Cosa sia il DNA — un lungo polimero costituito da unità ripetute di nucleotidi, l’ordine dei quali costituisce l’informazione genetica di una determinata cellula — ognuno più o meno lo sa. O meglio: crede di saperlo. Se però cominciassimo a grattare un po’ la superficie di questa credenza potremmo trovare dei baratri. Per esempio: è vero che il patrimonio genetico è stabile? Tendono a ripeterlo quelli che usano il DNA come una metafora proprio per riferirsi a ciò che sarebbe fisso nella loro identità. Eppure non è così. Il patrimonio genetico, al pari di ogni altra cosa, è sottoposto nel tempo a mutazioni che vengono ereditate, e di questo aspetto si occupa la branca delle genetica chiamata epigenetica. Secondo l’epigenetica — trascrivo da un testo scientifico divulgativo — il DNA non è una struttura rigida e immutabile, ma una struttura vibrante che produce «biofotoni», ovvero informazioni sotto forma di fasci di luce. Questo significa che il nostro stile di vita, il nostro stesso pensiero, potrebbe essere in grado di influenzare i nostri geni, prima in modo temporaneo, e in seguito a ripetute e continuate sollecitazioni, in modo permanente. Tutto dunque muta, dalla struttura più minuta della materia di cui siamo composti alle più grandi configurazioni culturali nelle quali siamo immersi. Per trovare qualcosa di veramente stabile occorre così chiamare in causa delle narrazioni mitologiche.

Narrazioni fantastiche, che non potendo poggiare su alcun dato scientifico rischiano però anche sempre di tramutarsi in plateali scempiaggini. Ecco, tra le scempiaggini delle quali qui in Alto Adige/Südtirol facciamo parecchia fatica a liberarci dobbiamo annoverare quelle che, di tanto in tanto, vengono esposte dagli Schützen, i quali amerebbero essere descritti proprio come i custodi immutabili di una tradizione immutabile. Di recente gli Schützen sudtirolesi hanno pubblicato un video che ha fatto (si fa per dire) molto scalpore. Servendosi dello stile rap hanno deciso di ribadire i soliti concetti con un linguaggio più moderno delle loro solite parate o fiaccolate. Il messaggio è chiaro: anche con fogge mutate, anche attingendo a elementi della cultura contemporanea, noi siamo e saremo sempre gli stessi e ciò che affermiamo (in soldoni: la nostra battaglia per la libertà del Tirolo dal giogo italiano) non muterà mai.

Il testo del pezzo (intitolato comicamente Mamma Tirol) cantato dal comandante dei cappelli piumati, Jürgen Wirth Anderlan, ha fatto scalpore perché al suo interno sarebbero rinvenibili, secondo i critici, accenni razzisti, xenofobi e sessisti. A guardar bene non è proprio così o, anche se la volessimo proprio vedere così, questi accenni non cambiano davvero l’impostazione media della loro propaganda decennale o secolare. Il buon Anderlan voleva forse provocare, ma per scorgere la provocazione ci sarebbe insomma voluto comunque un grande impegno. Piuttosto, ed è qui che torna il discorso iniziale, è sorprendente che il ritornello della canzone chiami in causa proprio il DNA, il quale — come abbiamo visto — è uno strumento poco affidabile per sostenere una battaglia parmenidea e rischia, invece, di far franare tutta l’impresa nelle braccia del primo Eraclito di passaggio. Da questo punto di vista è una fortuna, per lui e gli Schützen in generale, che il pensiero scientifico e filosofico non sia molto praticato, qui in Alto Adige/Südtirol, e così possiamo trastullarci ancora con queste provocazioni che non provocano nessuno ma alle quali (sarà colpa del DNA?) tutti finiscono sempre per reagire.

Corriere dell’Alto Adige, 8 gennaio 2021

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