Il peso delle parole

Odio

Lo confesso, io sono l’ultima persona in grado di impartire lezioni di buona educazione – quel che in gergo si dice netiquette – quando si tratta di discutere in internet. Perdo velocemente la pazienza, adopero fin troppo sbrigativamente un linguaggio graffiante, ironico, sarcastico, che lambisce, e talvolta persino oltrepassa, il confine della provocazione. Inoltre non sempre riesco a distinguere con precisione chirurgica la critica rivolta agli argomenti ai quali mi vorrei opporre dall’attacco personale a chi li espone. Quindi ho riflettuto molto, anche in senso autocritico, su quel che può accadere avendo un’inclinazione come la mia, e penso di essere giunto ad alcune considerazioni interessanti anche alla luce del caso nato dalle offese sessiste rivolte su facebook alla giornalista del Corriere dell’Alto Adige Silvia Fabbi, del quale si è molto parlato. Porrò allora tre domande e tenterò di rispondere per cavare una lezione da quanto accaduto e, giacché si tratta di errori ricorrenti, ancora accadrà.

Qual è la migliore tecnica per sedare una discussione protesa verso una percepibile violenza verbale? La cosa migliore sarebbe aprire uno spazio di contrattazione in cui gli interlocutori si dichiarino immediatamente disposti a ridurre il livello degli argomenti ad personam, in modo da privilegiare piuttosto la disamina oggettiva dei temi sui quali ci si sta confrontando. Solo così sarà possibile evitare di ritrovarsi ad intasare i tribunali per le conseguenze di litigi riconducibili quasi sempre a una disputa sulle parole.

Cosa accade se però le offese sono indirizzate ad un interlocutore non coinvolto direttamente nel colloquio? Anche in quel caso, prima di utilizzare il “corpo del reato” in un ambito per così dire extraterritoriale, dunque spostando il fuoco della polemica su altri media o, come capita, finendo con lo scivolare nei paraggi di uno studio legale, bisognerebbe contribuire a segnalare al responsabile la gravità del gesto, invitandolo a rimuovere quanto pubblicato. Nella maggioranza dei casi, sono convinto, ciò funzionerebbe senza lasciare troppe tracce e sarebbe scelta di civiltà.

Ma un simile livello di tolleranza è auspicabile anche nei confronti dei politici o comunque dei personaggi pubblici? In realtà in questo caso abbiamo a che fare con “esternazioni” dotate di un peso maggiore rispetto alla comune chiacchiera da bar (o da social network). Anche perché non è poi raro che siano proprio politici e personaggi pubblici a ricorrere in modo disinvolto alla querela, talvolta persino a scopo intimidatorio, non appena si ritiene scalfito il rispetto che essi esigono dagli altri, pur non avendo mostrato di essere disposti a concederne in egual misura.