Il ponte texano e la mega-funivia. Incubo o realtà?

In un piccolo testo del poeta Norbert C. Kaser dedicato a Bressanone, la cittadina della Val d’Isarco è tratteggiata così: “B. si perde dormendo persino la fine del mondo”. Da allora le cose sono un po’ cambiate.

Di sicuro la città vescovile non assomiglia più infatti a quella descritta da Heine nel suo “Viaggio in Italia”: dominata da una fisionomia intrisa di quiete crepuscolare, cullata da un malinconico tintinnare di campane e punteggiata da pecore al trotto verso l’ovile. Eppure l’ovvia trasformazione che l’ha resa ormai un centro polimorfo – in equilibrio tra tradizione e innovazione, con un nucleo storico ancora sufficientemente integro e una periferia rigogliosa di aziende e piccole industrie – non aveva sinora destato il sospetto di poter precipitare in una forsennata corsa verso la modernità più abbacinante. 

Basta dare un’occhiata a due recenti progetti, tuttavia, per avere un’idea di cosa adesso potrebbe succedere. Il primo riguarda la costruzione di un ponte in corrispondenza della nuova uscita autostradale a sud della città. L’opera – per la quale è prevista una spesa di nove milioni di euro – assomiglia alle enormi strutture che abbiamo imparato a conoscere nelle megalopoli statunitensi. In modo un po’ provocatorio la Tageszeitung l’ha accostata al famoso Margaret Hunt Hill Bridge di Dallas. Il gigantesco ponte strallato, lungo 570 e alto 122 metri, posto a cavallo del fiume Trinity. Ovviamente da noi le dimensioni e i costi risulterebbero più contenuti del collega texano, ma l’impronta lasciata sul paesaggio non sarebbe da meno. Ed è legittimo chiedersi se sia proprio il caso d’intervenire in modo tanto drastico.

Ben più preoccupante è però la seconda impresa caldeggiata dall’amministrazione cittadina. Si tratta di una funivia capace di collegare la stazione ferroviaria, o comunque un sito vicino, con la costa situata di fronte, e poi  la cima della Plose. Uno sfregio effettuato sull’intero spazio aereo della vallata che usurperebbe il ruolo finora svolto dal Duomo come limite estremo della skyline urbana. Al di là delle possibili argomentazioni di ordine economico e ambientale a favore o a sfavore di un simile progetto, quello che colpisce è l’azzardo estetico dell’operazione. In questo modo Bressanone non diventerebbe semplicemente una città dotata di funivia, ma s’identificherebbe senz’altro con essa, costringendo in pratica chiunque, non solo quelli che ci abiterebbero sotto, ad avvertirla come lo sfondo di ogni futuro sguardo. Un vero incubo, a mio giudizio, una di quelle assurdità che magari ci s’immaginano per un momento quando si è in vena di scherzi.  Invece c’è chi si sta dando da fare affinché un impianto del genere venga costruito.

I due progetti rischiano di alterare in profondità l’immagine di Bressanone. Varrebbe la pena rifletterci meglio.

Corriere dell’Alto Adige, 18 maggio 2012