Capire l’altro

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Oggi, alle ore 18:00, presso la biblioteca Claudia Augusta, Hans Karl Peterlini presenterà “Capire l’altro. Piccoli racconti per fare memoria sociale” (Franco Angeli). Al centro del volume il percorso biografico di alcune vivandiere e Schützen sudtirolesi già intervistati nel 1997 e poi a dieci anni di distanza. Un modo originale e illuminante di comprendere il lento metabolismo individuale dell’idea di “Heimat” in un contesto sistemico solo apparentemente immutabile.

Il suo nuovo libro è un testo scientifico – in origine una tesi di dottorato – che può essere usato anche come bussola per orientarci nel presente. Com’è riuscito a coniugare questi due aspetti?

In linea di principio non vedo un abisso insuperabile tra un approccio scientifico e un impegno di pedagogia applicata anche a fenomeni attuali. Un giornalismo serio, per esempio, può essere molto educativo. Così il mio libro può essere letto come un vademecum per capire l’anima patriottica più intima del Tirolo o del Sudtirolo, una guida nel mondo dei valori, delle utopie, delle ansie di giovani Schützen. Poi c’è il punto cruciale e più importante di tutti: cosa si nasconde dietro l’idea di una “Heimat” che va difesa da un presunto nemico, qualunque esso sia.

Può riassumere brevemente la griglia teorica che sostiene la ricerca presentata nel libro?

Mi sono avvicinato alla tematica utilizzando la psicoanalisi dei fenomeni collettivi, la teoria della cultura di Freud, l’etnopsicoanalisi e la teoria del narcisismo. Alla base del patriottismo tirolese è possibile rinvenire un generico bisogno di sostegno affettivo materno (e paterno), di appartenenza, di conforto di fronte alla nostra vulnerabilità fisica e psichica, di sicurezza di fronte alle precarietà della vita. Eppure questi non sono motivi sufficienti a spiegare come si possa decidere di diventare Schütze o impegnarsi nella difesa della Heimat. Per questo mi sono orientato verso un secondo modello, codificato dal filosofo Jürgen Habermas, che distingue tra “Lebenswelt” (mondo della vita) e “sistemi”. A livello di “mondo della vita”, cioè nella quotidianità, in Sudtirolo non esistono problemi di convivenza, eppure non appena tocchiamo il “sistema” (la politica, i media, l’economia) allora scattano meccanismi conflittuali: nel “mondo della vita” il problema della toponomastica è quello di trovare la baita o la malga per fare merenda, nel “sistema” della politica ci si azzuffa da decenni.

Le biografie raccontate disegnano un percorso esistenziale che dall’iniziale convinta adesione all’ideologia della “Heimat” sfuma verso posizioni più morbide, anche se non sempre autocritiche. Quali sono gli elementi che hanno favorito un mutamento del genere, a parte il semplice passare del tempo, e come potrebbero essere potenziati all’interno della nostra società?

La vita è sempre la migliore maestra: crisi e crescite personali, percorsi formativi, relazioni al di là di ogni ideologia e di ogni confine etnico sono tutti elementi in grado di far prevalere le esperienze del “mondo della vita” sui “sistemi”. Secondo Habermas sono invece i “sistemi” che usurpano il “mondo della vita” e lo avvelenano mediante una comunicazione basata sulla sopraffazione del “nemico”. In effetti la crescita dei grandi gruppi, delle organizzazioni, dei partiti è difficile, poiché sono ostaggi dei loro “sistemi”. L’humus fertile per l’arricchimento dell’identità è la Zivilgesellschaft, la società civile, è lei che può fungere da nesso tra “mondo della vita” e “sistema”.

Nel capitolo introduttivo si accenna al fatto che il conflitto etnico italiano-tedesco e la specifica situazione locale possono essere utili a comprendere le tensioni future, suscitate per esempio dagli attuali flussi migratori. In questo modo non si corre però il rischio di attribuire a quel primo conflitto una funzione di modello alla fine insuperabile? 

Sì, forse quel modello rappresenta la nostra gabbia, anzi lo è, ma conoscendo meglio la gabbia forse riusciremo un giorno ad aprire lo sportellino – e via tutti gli uccellini del nostro passato! Si tratta di un’utopia che richiede un impegno costante.

Adesso che il partito di raccolta sta perdendo consensi, il côté patriottico si rafforzerà o vivremo invece un suo ridimensionamento paragonabile a quanto avviene a livello individuale con le vicende dei protagonisti del libro?

Lo sgretolamento della Volkspartei offre senza dubbio delle possibilità di sviluppo democratico, ma comporta anche dei rischi. Il partito di raccolta, proprio per la sua indiscussa dominanza, non ha avuto necessità di spingere a fondo sul pedale del patriottismo, bastava per così dire la sua dotazione di base. Nella mia ricerca ho dovuto prendere atto di due fenomeni contrapposti: mentre le vivandiere e gli Schützen da me intervistati in due momenti distinti della loro vita (tra il 1997 e il 2009) hanno senz’altro mostrato crescita personale e un aumento di consapevolezza riflessiva, il movimento degli Schützen ha accentuato la sua militanza politica e riscuote un sorprendente successo tra i giovani. Con l’ostinazione del pedagogista continuo a credere che anche loro faranno i loro percorsi, bisogna comunque prendere atto che una provincia come la nostra offre a ogni disagio – sia esso economico, politico, culturale o di isolamento sociale – una valvola etnica. Quando va male, ho sempre un vicino di casa a cui è facile dare la colpa perché è un crucco o un Walscher o un immigrato. Per questo i processi di pacificazione non possono fondarsi solamente sul benessere economico: bisogna attivare una cultura del confronto e del racconto reciproco a tutti livelli. Col mio libro vorrei dare un piccolo contributo in tal senso.

Corriere dell’Alto Adige, 13 dicembre 2012