Dopo la caduta

Se si cercano le testimonianze del tempo che fu, si trova che esse sono concordi nel definire quel che è avvenuto un ventennio fa come l’aprirsi di una parentesi nella storia del popolo italiano. Era questa una definizione doppiamente ottimistica: primo, perché supponeva una progressione in quella storia, interrotta o sospesa dagli eventi; secondo, perché la parentesi aperta è fatta per chiudersi, e, se il periodo non deve soffrirne, per chiudersi a breve scadenza. (Salvatore Satta, De profundis)

Forse poi si dirà che oggi, 12 novembre 2011, è stato un giorno storico. Silvio Berlusconi che sale al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni, mentre una folla gioiosa e incanaglita sventola bandiere, intona canti e lancia insulti, è un evento che molti di noi, antiberlusconiani da sempre e per sempre, abbiamo aspettato per anni. Eppure, come dice il mio amico Franz Mozzi, del quale spesso ho condiviso opinioni e sentimenti, non riusciamo a essere contenti. Non sventoliamo bandiere, non cantiamo, non lanciamo insulti e ci sembra che la vita post-berlusconiana tanto agognata (e appena cominciata) se ne stia per adesso ancora tutta dentro il cerchio grigio di quella berlusconiana. Alcune note sparse, buttate giù a caldo, per cercare di capire perché.

Prima di tutto, il nodo è forse sempre quello, come ebbi già modo di scrivere [QUI]: toltaci da una insormontabile contraddizione logica la gioia perfetta di non essere stati costretti ad assistere alla sua ascesa, è la modalità della sua discesa che non può alimentare la soddisfazione che ci saremmo immaginati di provare di fronte alla sua effettiva – posto che sia effettiva, soprattutto posto che sia definitiva – caduta. Ci sarebbe stata poi una gioia relativa, ma in ogni caso apprezzabile, derivante dalla semplice constatazione di un fallimento dovuto a due fattori concomitanti: la cognizione generalizzata, da parte dei suoi sostenitori, che avere investito le proprie speranze in un venditore di sogni rivelatisi fin da subito fandonie è stato un grave sbaglio e una scelta della quale occorre assumersi piena responsabilità; la soddisfazione, da parte dei suoi oppositori, di aver contribuito a creare nel Paese un’onda di ribellione non basata soltanto sull’insofferenza e il disgusto verso la sua persona, ma anche sulla concreta e praticabile prospettiva di cambiamento condivisibile da una vera e propria maggioranza di cittadini (a questo proposito mi sembrano surreali le dichiarazioni di Bersani, le ascolto proprio in questo momento in rete, secondo le quali sarebbe stato il Pd a cacciare Berlusconi). Purtroppo nessuna di questi due fattori stanno all’origine di quanto si è venuto creando. L’erosione del consenso non si è manifestata nei termini e nelle proporzioni che ci saremmo aspettati in base al semplice buon senso espresso dalla profezia, rivelatasi dunque sostanzialmente errata, di Indro Montanelli (“gli italiani dovranno provarlo sulla loro pelle…”); la crescita del dissenso non si è mai tradotta in una significativa proposta alternativa. Il fatto che il quarto governo Berlusconi non sia caduto in Parlamento, né in seguito a libere elezioni, è sotto gli occhi di tutti e creerà a mio avviso non poche resistenze sulla via di un autentico superamento di una cultura, quella berlusconiana, che non si è certo affermata per caso e che dispone sicuramente di anticorpi ancora vivissimi (al pari del “mussolinismo”, anche il “berlusconismo” rientra a pieno titolo in quel pessimo volume autobiografico che gli italiani, temo, continueranno a comporre). Difficile dunque dichiararsi pienamente contenti.

Ma c’è un ulteriore elemento di opacità, alla radice di questa gioia mancata, che vorrei qui mettere in luce. Ai margini di questa vicenda sta diventando drammaticamente percepibile l’illusione, coltivata per anni in rapporto al significato stesso del termine “democrazia”, di essere padroni, cioè che il popolo sia in ultima istanza padrone, del proprio destino. E sia pure quel genere certamente non perfetto di padronanza implicato dal diritto di eleggere i propri governanti contribuendo a determinarne le scelte. Rispondendo a una domanda fattagli da Nicola Sessa riguardo alle cause dell’attuale cambio di governo, il sociologo Luciano Gallino ha detto: “Sicuramente la troika (Fmi, Commissione europea e Bce) ha operato come portavoce del sistema finanziario che da decenni chiede di tagliare le pensioni, facilitare i licenziamenti, privatizzare i beni comuni. Il messaggio è quello dell’ulteriore espansione del capitalismo finanziario in ogni direzione” [FONTE]. Penso non sia difficile immaginare come, a fronte di una simile espansione, avremo la corrispondente contrazione della nostra sfera di sovranità e dunque un attacco diretto al significato dell’attività e della partecipazione politica nei termini sin qui conosciuti. E se pensiamo a quanto sia già improbabile, nel nostro bellissimo e disgraziatissimo Paese, la capacità di saper dar vita a una politica in grado di governare le cose (anziché dimostrarsi sempre completamente in loro balia), i motivi per gioire francamente diventano davvero pochi.   

13 thoughts on “Dopo la caduta

  1. fino a quando Monti non ha avuto la fiducia del parlamento, il premier è ancora Berlusconi. Io ci andrei piano coi festeggiamenti, può ancora succedere che si vada a votare col governo in carica

  2. più o meno d’accordo con tutto ma vorrei fare con un piccolo ma, a mio parere, importante distinguo. la folla davanti al Quirinale non era affatto ‘incanaglita’, né lanciava ‘insulti’, bensì accuse precise: ‘mafioso’, ‘corrotto’ ecc. di tutto ciò io, che ero lì, ero orgogliosa e sollevata

  3. Francesca, mi pare esistano documentazioni inequivocabili al riguardo. La folla che spontaneamente si e’ raccolta ieri sera a festeggiare le dimissioni di Berlusconi non ha lesinato le offese. Magari non esattamente dove ti trovavi tu, ma a poca distanza. Concordo che la Stimmung generale era piu’ gioiosa (ma continuo a non percepire questo aggettivo come appropriato) che incazzata. Pero’ un po’ d’incanaglimento s’e’ visto (Di Pietro che fa il gesto dell’ombrello ne e’ un non trascurabile segno). E sarebbe stato meglio non ci fosse stato.

  4. scusa Gabri ma davvero questo mi sembra il solito fenomeno di dare più spazio e visibilità a due deficienti (peraltro molto, molto desiderosi di visibilità) piuttosto che alla stragrande maggioranza, al fenomeno complessivo.
    e comunque ora i problemi sono ben altri. su questo so che siamo d’accordo

  5. Ho poco da aggiungere, se non la constatazione di come questi anni abbiano fatto tabula rasa – a destra come a sinistra – di qualunque cosa potesse anche solo vagamente somigliare ad una classe dirigente. Anni di vero e proprio furore ideologico – alla faccia del generalizzato disprezzo per l’ideologia – veicolato da figure di assoluta, desolante mediocrità; lo strombazzato “primato della politica” tradotto in stanco lasciarsi vivere, fino a lasciarsi scalzare per manifesta incapacità di intendere e volere dall’aborrita tecnoburocrazia del complotto pippoplutogiudaicomassonico (teoria condivisa anche da sempre più larghe parti di una sinistra che ha in primo luogo perso ogni capacità d’analisi).

    Vedo un materiale umano poverissimo, schiere di tifosi che non s’informano né provano a capire, vivendo di povere certezze, incapaci di elevarsi appena un gradino sopra il grado zero di quella rappresentazione del consenso/dissenso cui siamo andati abituandoci. Sento – in occasione della caduta del Berlusconi IV (ché di caduta di Berlusconi e del berlusconismo è prematuro parlare) – voci ingenue ed inadeguate (pur se festanti) che non lasciano presagire nulla di buono e cui non sento di potermi unire.

  6. Concordo in toto col “Gambero”, mi intriga però la trinariciuta melatre, nipotina di Audisio e parente stretta di quei milanesi che gioirono a piazzale Loreto.
    Con questa gente l’Italia non diventerà mai adulta, prima che unita, e continueremo a discutere sulle piccinerie di una parte del popolo accecata dall’invidia e dai presunti torti subiti, alla ricerca di un riscatto morale che sa tanto di povertà d’animo.

  7. Piano coi paragoni avventati, Angelo. A Piazzale Loreto il BUCE (come lo chiamava Gadda) penzolava attaccato per i piedi e, una volta deposto a terra, la sua faccia assunse l’aspetto di una pizza Vesuvio dalle pedate (sia di punta che di tacco) prese. Questi qui invece sono ancora beatamente in Parlamento a darsi gran pacche sulle spalle. Comunque peccato che a far diventare l’Italia adulta ci debbano sempre pensare quelli che inveiscono contro i criminali che spesso li governano, mentre per i suddetti criminali l’obbligo di far crescere l’Itaila, essendo loro proprio criminali e dunque felicemente immuni da obblighi, non vale mai.

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