Nelle scuole doppio errore in agguato

In Sudtirolo sono state avviate da tempo alcune sperimentazioni che cercano di legare l’apprendimento della seconda lingua ad attività focalizzate anche su altri obiettivi. Si tratta del cosiddetto insegnamento «veicolare», reso possibile da una delibera della giunta provinciale del 2006 e purtroppo sfruttato solo da alcune scuole in lingua italiana. I primi risultati delle valutazioni sui progetti avviati sono molto incoraggianti (domenica scorsa il Corriere dell’Alto Adige ha segnalato l’esempio della scuola elementare Longon).

Sono due le coordinate delle quali occorre tener conto per circoscrivere l’efficacia di una sperimentazione. La prima riguarda il pieno controllo delle condizioni entro le quali deve avvenire, la seconda l’estendibilità dei risultati a tutti i casi che presentano caratteristiche simili.

In alcuni contesti, quelli cioè per i quali il numero delle variabili può essere ridotto significativamente (penso ad alcuni ambiti delle scienze naturali), il passaggio dalla prima coordinata alla seconda non è causa di grandi problemi, almeno a livello teorico. In contesti nei quali invece il concorso delle variabili individuali e situazionali non è per definizione riducibile, si tratta sempre di assumersi un rischio che, per quanto ponderato possa essere, non riuscirà mai a eliminare una componente d’azzardo.

Quando parliamo di lingue e di metodi per apprenderle ci muoviamo con tutta evidenza in un campo nel quale la complessità delle condizioni di partenza è talmente elevata da risultare per l’appunto irriducibile. Ogni volta si tratterà di soluzioni parziali, più congeniali ad alcuni che ad altri, comunque mai garantite al 100%. Ciò non rappresenta però un argomento di principio contro la sperimentazione. Al contrario, qui bisogna riconoscere che ci troviamo all’interno di un processo che richiede attenzione costante e soprattutto la capacità di correggere in corsa quegli aspetti che si dimostreranno più d’impedimento che di sviluppo.

Se, come detto, i primi risultati delle sperimentazioni fatte sono incoraggianti, si deve però ammettere che ancora manca una spinta decisa a interpretare tali «best practices» come la prima pietra di un migliore e più dinamico edificio didattico. La questione diventa allora come incrementare la sperimentazione, al fine di saggiarne con maggiore cognizione di causa non soltanto gli evidenti meriti, ma anche gli eventuali limiti. In particolare, c’è un duplice errore da evitare: quello di considerare ogni innovazione una ricetta magica in grado di risolvere tutti i nostri problemi, oppure, al contrario, di ritenerla un attentato al tradizionale modello glottodidattico e con ciò ai fondamenti della nostra autonomia.

Corriere dell’Alto Adige, 9 febbraio 2010