Un po’ di ragionevolezza

Intervenire con ragionevolezza nel dibattito sulla toponomastica di montagna è molto difficile. La difficoltà maggiore consiste nel cercare un possibile punto di mediazione tra parti che tendono quasi per inerzia a scivolare verso gli estremi di visioni inconciliabili. Questo genera stanchezza e frustrazione. Verrebbe la voglia di mandare tutto e tutti al diavolo, d’ignorare la questione e di dedicarsi a cose diverse, meno inquinate da animosità e risentimento. Se non lo facciamo, se nonostante tutto continuiamo a scriverne è per non darla vinta proprio a chi non aspetta altro che il fallimento di ogni mediazione possibile, per riprendere con maggiore vigore la propria missione incendiaria.

Cerchiamo dunque di riannodare l’esile filo della ragionevolezza chiarendo e definendo quali sono le posizioni estremistiche che dovrebbero essere decostruite. Da un lato abbiamo avuto l’azione dell’Alpenverein Südtirol, ovvero l’applicazione di un gran numero di cartelli segnaletici senza riguardo all’obbligo formale del bilinguismo (espressamente richiesto in ambito pubblico dallo statuto d’autonomia). Dall’altro la reazione infastidita di alcuni politici italiani (da ultimo il ministro delle Regioni Raffaele Fitto), compattati dal richiamo all’osservanza della lettera dello statuto e generalmente propensi a una sua applicazione senza eccezioni di sorta (secondo il motto: bisogna tradurre tutto). Il rischio di un muro contro muro, data questa situazione, è concreto. Per sventarlo occorrerebbe fissare alcuni paletti e respingere con decisione ogni intervento votato allo scontro.

Innnanzitutto, è vero che per garantire il principio del bilinguismo occorre tradurre sempre e comunque tutto? Non è possibile, per esempio, far valere qui un limite relativo alla differenza tra “bilinguismo” e “binomismo”, come ha proposto anche l’assessore del Pd Bizzo? In questo modo, io credo, si smorzerebbe uno dei fuochi polemici più strumentali alla recrudescenza della contrapposizione senza di fatto ledere la sensibilità di nessuno. Partendo da qui dovrebbero poi essere individuati con rigore i soggetti e la metodologia responsabili di produrre concrete proposte di mediazione. Il coinvolgimento delle associazioni alpine (Cai e Avs) costituisce senz’altro una possibilità. Sono infatti loro che gestiscono le risorse e operano sul territorio. Esautorarle o scavalcarle potrebbe rivelarsi non solo improduttivo, ma anche controproducente. Certo, alla fine avremo probabilmente solo un compromesso – anche faticoso, come tutti i compromessi – ma se non è possibile fare di meglio non possiamo continuare a sperare che una soluzione palesemente unilaterale alla fine si dimostri anche quella buona.

Corriere dell’Alto Adige, 20 giugno 2010

4 thoughts on “Un po’ di ragionevolezza

  1. Come in tutte le diatribe di questo mondo occorre ponderazione, disponibilità ed intelligenza. Ostinarsi a tradurre un valico di montagna, un vicolo o il nome di un sito la cui origine risale a secoli prima e legati alla cultura locale è un’incongruenza.
    Come tradurre i cognomi delle vie dedicate a personaggi diventa un assurdo. Un’ipotetica via Wolf o Fuchs, deve restare tale e non trasformarle in via Lupo o via Volpe. Penso a Schumacher (chi fa le scarpe) tradotto in un improbabile Calzolaio.
    La radicalizzazione del problema, lasciatemelo scrivere, dipende da chi impone coattivamente i nomi, senza consultarsi preventivamente con le altre comunità.

  2. Ieri dopo molti anni d’assenza, sono tornato in compagnia di mio figlio sullo Schrotthorn nei dintorni di Bressanone. C’ero stato l’ultima volta una ventina di anni fa e la prima circa trentacinque anni fa. Il paesaggio nella valle di Scaleres/Schalders non è cambiato di molto, qualche strada forestale in più, ma niente di più invadente rispetto all’ultima volta. Arrivati alla Scalderer Scharte ci siamo concessi una breve pausa e ho notato i cartelli segnaletici imbrattati con scritte in italiano. Chi era arrivato fino a qui, di sicuro non si era perso e lo ha fatto solo con lo spirito di rivalsa, contro chi?
    I cartelli erano gli stessi di venti anni fa, qualche parte era stata sostituita perché danneggiata dalle intemperie, che bisogno c’era di imbrattarli?
    Neppure durante il fascismo, quei pochi cartelli erano stati sostituiti. Negli anni cinquanta e sessanta la segnaletica ed i punti di ristoro erano trascurati, molti rifugi erano stati requisiti dalle forze dell’ordine.
    Non ci si poteva passare il confine in montagna se non per i valichi autorizzati. Mi ricordo negli anni sessanta, quando fummo fermati in valle Anterselva a passo Stalle, perché non in possesso di un lasciapassare. Mio padre regalò ai giovani agenti della Guardia di Finanza il mio pallone e loro ci lasciarono passare anche senza “lasciapassare”. Ancora a fine degli anni settanta molti rifugi erano in uno stato pietoso. In alta val Ridanna che ora è coperta da quattro rifugi, non c’è n’era uno agibile. Dormimmo alla Teplitzerhütte, tra i rifiuti lasciati dalle forze dell’ordine.
    Ma in montagna andavamo comunque, senza perderci con le poche cartine a disposizione e con le indicazioni della gente del posto.
    La questione della micro toponomastica di montagna, più che un problema di orientamento è a mio avviso un problema di parte della popolazione sudtirolese di lingua italiana(i più in montagna non si vedono), che lo vede come fonte di discriminazione. Non sono i turisti il problema. I turisti tedeschi, cechi, polacchi, inglesi e italiani vengono in montagna in Sudtirolo , perché apprezzano il nostro territorio e di come è gestito. A sud come ad ovest o est, la segnaletica escursionistica è carente, non sono sicuramente escursionisti di quelle zone montuose a lamentarsi della nostra segnaletica monolingue.
    A fine aprile di quest’anno son stato in Costa Azzurra con un gruppo di colleghi di lavoro sudtirolesi di entrambi gruppi linguistici. Abbiamo seguito un tratto del “Sentier du littural” da Plage du Pampellone a Saint Tropez. La segnaletica era scadente se non assente, ma con una copia del foglio dell’IGF nessuno si è perso. A Nizza le targhe ricordo della casa natale di Garibaldi o di Paganini, sono ancora in italiano e nessuno si è preso la briga di tradurle in francese o nizzardo.

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