La particella svedese rompe gli schemi

Marie Måve

Marie Måwe è assurta agli onori della cronaca politica in quanto primo esempio di cittadina “straniera” – vale a dire non “tedesca” o “ladina” – candidata dalla Svp alle prossime provinciali. Il tema merita un approfondimento, soprattutto alla luce della contestazione che, di questa scelta, ha fatto Elena Artioli, la quale si è sentita a posteriori discriminata: perché una “svedese” può fare quello che è negato a un’“italiana”?

 La Svp ha uno statuto che adotta in buona sostanza i criteri di uno stato nazionale. Chi desidera fare politica per quel partito deve dichiararsi appartenente al gruppo linguistico tedesco o ladino e impegnarsi a svolgere la propria attività nell’interesse della “causa etnica” riconosciuta ancora come determinante. Consideriamo però come, anche a livello nazionale, un cittadino di origine straniera possa esercitare il proprio diritto di voto e di eleggibilità solo se in possesso della cittadinanza italiana (una limitazione comunque non prevista per le elezioni comunali ed europee). Ora, non è forse vero che l’acquisizione di una cittadinanza equivale, almeno sul piano formale, a una dichiarazione di appartenenza? Ma allora l’eventuale critica alla limitazione posta dalla Svp, per essere credibile, dovrebbe sboccare nel rifiuto dell’appartenenza nazionale che esclude molti cittadini stranieri, pur residenti in Italia, dal diritto di votare o essere eletti.

 Come si vede, abbiamo qui a che fare con contraddizioni nate dalla collisione di due logiche opposte: quella rigida, del diritto, e quella, più fluida, della vita. L’esigenza del diritto consiste nel tentare di contenere le contraddizioni che emergono dall’eccessiva fluidità della vita, ma spesso avviene che l’opera di contenimento generi a sua volta contraddizioni insoddisfacenti dal punto di vista di chi si trova a vivere in condizioni mutate rispetto a quelle disciplinate da quel diritto. Chi, traendo spunto dalla candidatura di una cittadina “straniera”, punta il dito su alcune persistenti rigidità della Svp, che indubbiamente ci sono, dovrebbe anche prendere sul serio le difficoltà di tutti gli altri stranieri che vivono in Italia senza prospettive di un’integrazione effettiva. È infatti il principio generale della nazionalità, al quale ancora subordiniamo ogni ulteriore tratto identitario, l’elemento da indebolire. Sia quando esso agisce nelle dinamiche di un piccolo partito nato per difendere le prerogative di una “minoranza”, sia – e le due cose sono ovviamente legate – quando lo si ritrova in un contesto più vasto, ma non meno esclusivo. Artioli sarebbe d’accordo?

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Immaginiamoci la società sudtirolese come un contenitore nel quale è presente un liquido piuttosto denso e stratificato. Gli strati sono ovviamente i gruppi linguistici. A causa dell’abitudine, tendiamo a pensare che ogni strato risponda a criteri di stabilità e riconoscibilità che sarebbe rischioso mettere in questione. La realtà smentisce però tali convinzioni. Se guardassimo quel liquido controluce, vedremmo un numero considerevole di particelle muoversi incessantemente da uno strato all’altro, alterando dunque anche il loro colore o screziandolo di riflessi inattesi. Un fenomeno del tutto naturale, anche se ufficialmente negato.

 Nel caso della nostra candidata svedese è come se, adesso, una particella esotica fosse penetrata in una zona del liquido molto sensibile agli effetti stranianti. Il che ci invita a riflettere di nuovo sulla legittimità della sua composizione, finora sempre considerata inalterabile. Come abbiamo visto citando la protesta di Elena Artioli, secondo la logica che regola il contatto dei nostri liquidi, esistono comunque cose che si possono tollerare più di altre. Un’italiana – la quale, beninteso, voglia continuare a dichiararsi tale – contesta un codice esplicito di appartenenza magari accettato da chi, provenendo da tutt’altro contesto, ha meno problemi a condividere la finzione di aggregarsi al gruppo tedesco (o ladino) che la Svp ritiene da sempre di rappresentare. Del resto, anche questa pur minima novità non è ben vista da tutti. Basta prendere nota del tenore di certi commenti diffusi in rete contro la candidatura della Måwe, considerata alla stregua di un corpo – ancorché di gradevole aspetto – estraneo.

 Certo, sarebbe opportuno se anche la Svp, prima o poi, prendesse spunto dalle contraddizioni che si originano richiedendo con troppa rigidità la professione dell’appartenenza, almeno quando essa impedisce di riconoscere la multiforme identità culturale di chi abita una terra per fortuna molto diversa da cinquant’anni fa. In questo senso, la presenza sempre maggiore di persone provenienti da contesti anche remoti, ma desiderose di partecipare alla vita pubblica, non può che essere salutata con favore.

Corriere dell’Alto Adige, 11 agosto 2013

4 thoughts on “La particella svedese rompe gli schemi

  1. La Måwe le ha tutte: donna, parlante tedesco, figa e, soprattutto, non italiana. La SvP deve presentare delle novità per non colare a picco ed ecco la svedese.
    La tipa ha due BA svedesi – non molto difficili da prendere in Svezia – e una laurea specialistica a Trento (per la quale è andata fuori corso, come tutti gli italiani).
    Secondo me è un’infiltrata. Qua in Svezia devi anche saper fare qualcosa e della bellezza non gliene frega niente a nessuno. Le straniere in Italia trovano sempre l’America – l’unico Paese al mondo (forse assieme all’America Latina) dove basta esser fighe per avere successo e trovare lavori da favola, prendere una pensione da politico.

  2. Mi scuso per li errori di cui sopra: la Måwe ha solo una laurea triennale in lingue all’università di Göteborg (non tra le più importanti di Svezia). La lingua principale che ha studiato è stata quella tedesca, seguita da inglese e italiano. Ha iniziato tardi il percorso universitario, prima si é limitata ad avvitare bulloni alla Volvo, forse perché non sapeva che fare. Dal momento che ha partecipato – come molti studenti di liceo – al programma del parlamento per giovani in Svezia, puntava probabilmente ad entrare nella scuola diplomatica ma non ce l’ha fatta. Forse perché bisogna presentare ottimi voti a scuola. Peccato che la scuola superiore svedese sia di bassissimo profilo, non esista l’esame di maturità e qualsiasi studente possa essere promosso anche con insufficienze gravi in diverse materie. La questione di aver pubblicato la tesi triennale non significa granché, dato che tutti gli studenti delle università svedesi hanno il diritto di caricare sul sito della propria università la propria tesi, al di là del voto che hanno preso. La tesi triennale non viene mai discussa in pubblico e nemmeno quella specialistica. Il fatto che al Måwe abbia puntato a prendere la laurea specialistica in economia all’Università di Trento dovrebbe creare de sospetti. In Svezia, infatti, le università sono tutte e numero chiuso e non si può accedere, con una triennale in Lingue a studi di Economia. In Italia, invece, basta pagare. Vorrei infine mettere in luce che la School of Economics di Trento non ha un valore a livello internazionale – dato che dell’internazionalità la Måwe fa il suo cavallo di battaglia – come la School of Economics di Stoccolma o quella di Copenhagen in Danimarca. Non si capisce perché la Måwe abbia dovuto trasferirsi in Italia per studiare queste materie, in cui nei Paesi del Nord, sono maestri. Evidentemente non è ha passato le selezioni nelle università svedesi, dove c’è molta più serietà. Il 108 all’università italiana non conta molto, dato che l’università italiana tende a regalare voti, soprattutto i piccoli atenei che vogliono evitare di chiudere i battenti.
    Infine, sarebbe interessante sapere perché mai la Måwe si prenda tanto a cuore le sorti di una minoranza alla quale lei non appartiene, in un Paese che non le appartiene. Da quello che si sa qui in Svezia, pare che sia fidanzata con un certo manager spagnolo Juan Carlos Medina. Infine, perché ci tiene a diventare italiana se poi si definisce tedesca (per entrare a far parte della SVP). Noi sudtirolesi sappiamo che nel suo caso avrebbe dovuto sbarrare la crocetta su “altro”, dato che è svedese e presto diventerà italiana.
    Io mi sono fatta l’idea che la Måwe volesse entrare nel corpo diplomatico svedese a non ce l’abbia fatta (ci vogliono voti alti a scuola che forse non aveva) e abbia trovato una scorciatoia per fare finta politica, leccare qualche sedere provinciale per poi approdare alle alte sfere a Roma.
    Io come sudtirolese di lingua tedesca mi sentirei profondamente offesa da questa intrusa.
    Se poi voi italiani ci cascate perché è una bella ragazza, allora non posso che preferire a rimanere in Svezia – dove certe porcate non si possono fare.
    Ad majora. Saluti dalla Svezia

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