Sulle gambe del viaggiatore leggero

Lo scorso 22 febbraio, come si dice nei casi in cui il rammarico soffia su candeline immaginarie, Alexander Langer avrebbe compiuto 75 anni. Ogni volta che il calendario propone tale ricorrenza – o quella simile, della morte – lo ripensiamo, e scriviamo che ci manca, uno come lui. Certo, era di gran lunga il politico più lungimirante che ha prodotto il Sudtirolo tra gli anni Settanta e i Novanta, e la sua mancanza risulta evidente, soprattutto se compariamo il suo spessore con quello di chi lo attorniava o lo ha succeduto. Il rammarico però ha anche un lato spiacevole, perché tende ad assolverci non solo dall’impossibile emulazione, adombrata dal tributo rituale, ma anche da un impegno molto più concreto in ciò che sarebbe giusto continuare a fare (è l’invito, come noto, del suo biglietto finale) nel solco del suo insegnamento. Nessuno chiede che gli allievi superino i maestri, ma almeno che sappiano interpretarne in modo autonomo e innovativo la lezione.

Ai giovani, che di Langer hanno sentito a malapena parlare, si potrebbe ricordare il succinto catalogo da lui steso nel 1990 in un appunto rispondente alla domanda: da dove prendi le energie per “fare” ancora? Vengono citate le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del ’68, dell’estremismo degli anni ’70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e l’America latina, col Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell’ecologia. Alcune questioni nel frattempo spente, altre ancora brucianti di attualità. Poi, naturalmente, i capitoli inerenti la tutela delle minoranze, gli accorgimenti per smorzare il rinascere sempre possibile dei nazionalismi in un’Europa unita a fatica (l’impegno finale di Langer nel contesto delle guerre nella ex-Jugoslavia) e sempre di nuovo il suo amato Sudtirolo, diventato il nostro, così cambiato seppur riconoscibile nell’impostazione istituzionale risalente al secondo Statuto d’autonomia. Una volta deppennato il catalogo, resta la domanda. E noi? Da dove le prenderemo le energie per “fare” ancora?

Se, come detto, rimanessimo orientati sul lato celebrativo, mossi soltanto dal ritmo imperturbabile del calendario, le energie non sarebbero molte. E non sarà solo il trascorrere pigro del tempo che comunque passa a trarci d’impaccio. Si veda ad esempio il tema del Censimento etnico, del quale (ancora potenza del calendario!) ricorre proprio quest’anno il quarantesimo anniversario. Anche qui molte cose sono cambiate nell’apparente fissità dell’impostazione. Nel 1981 la dichiarazione era obbligatoria e possibile solo per i tre gruppi statutariamente previsti. Nel 1991, in pendenza di un ricorso alla Corte costituzionale, è stata introdotta la possibilità di dichiararsi “altro”, per quanto poi aggregato a uno dei tre gruppi. Ma questo almeno ha risolto, sul piano formale, il problema delle liste chiuse, che sono illegittime in base agli standard internazionali. Nel 2005 (pendente una possibile procedura di infrazione europea) la dichiarazione è stata sganciata dal Censimento ed è stata introdotta la possibilità di modificarla in ogni momento, con effetto però dopo 18 mesi, in modo da evitare le cosiddette dichiarazioni di comodo. Dal 2015 (sempre per il rischio di una procedura di infrazione) è prevista la possibilità di rendere la dichiarazione da parte dei cittadini UE e parificati (soggiornanti di lungo periodo) e in questo modo è risolto uno dei nodi maggiori, oltre a aver reso la dichiarazione un fatto formale (perché il kosovaro si può dichiarare ladino). Restano sul tappeto alcune questioni tecniche, e ovviamente la domanda politica di fondo: ha ancora senso un sistema di accertamento ufficiale della consistenza di gruppi percorsi da mutazioni e variazioni che, di quel sistema, riconoscono ormai quasi solo gli effetti senza badare troppo alla sua legittimità?

Intanto, il nome di Langer fiorisce in bocche sulle quali fino a qualche anno o addirittura mese fa sarebbe apparso come bestemmia. “Se fosse riuscito a continuare la sua battaglia – ha scritto su Facebook il parlamentare leghista Filippo Maturi – oggi vivremmo in un Alto Adige diverso: con meno contrapposizioni etniche, nel rispetto delle identità senza prevaricazioni. Un Alto Adige più green, forse senza bisogno di transizione ecologica, con maggiore rispetto per la biodiversità agricola e faunistica”. Langer però non è un supermercato di idee tra le quali si può scegliere secondo i propri pregiudizi, tralasciandone altre. E non è neppure solo una targa da apporre ufficialmente (c’è finalmente la notizia: è iniziato l’iter necessario) su un ponte che comunque già portava il suo nome. Le gambe del viaggiatore leggero devono diventare le nostre, senza paura di irrobustircele su sentieri imprevisti, che purtroppo a lui rimasero sconosciuti.

Corriere dell’Alto Adige, 24 febbraio 2021

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