Il censimento e la paura del nuovo

A proposito del mutamento che ha caratterizzato l’avvento di un’epoca completamente dominata dal medium televisivo, una volta Umberto Eco ha detto che, mentre fino agli anni Settanta del secolo scorso la televisione era “una finestra aperta sul mondo”, dall’inizio degli Ottanta in poi si è invece trasformata progressivamente in “una finestra aperta su una finestra aperta”.

Se applichiamo una tale intuizione all’esito del censimento dei gruppi linguistici presenti in provincia, mi pare sia proprio questo il referto maggiore. Certo molto più rilevante e significativo delle striminzite variazioni registrate in rapporto agli acquisti e alle perdite di “materiale etnico” attese o paventate nell’immediata vigilia della comunicazione dei dati. Anzi, proprio l’irrisoria entità di queste variazioni – contestualmente alla persistenza delle attese e delle paure – dimostra che ormai il rituale della “conta”, come lo chiamava Alexander Langer, è diventato un’istituzione alla quale non si può rinunciare purché continui a confermare che nulla è cambiato. Una specie di esorcismo di massa, quindi. Espresso però con l’ausilio moderno e incontestabile della scienza cartesiana.

Figuriamoci allora se venissero introdotti sul serio altri termini di riferimento percettivi in grado di spostare i confini tra le aggregazioni abituali (settanta tedeschi scarsi, venticinque italiani abbondanti e quasi cinque ladini su cento) e avessimo di colpo a che fare con gruppi linguistici ulteriori, ibridi o comunque irriducibili alla fisionomia degli insiemi con i quali l’autonomia suole attestare i suoi codici di riconoscimento e distribuire le risorse. Il “sistema” andrebbe probabilmente in tilt, avremmo imponderabili rigurgiti di conflitti considerati definitivamente passati, e si tratterebbe di affrontare l’enorme fatica di riformulare l’immagine della realtà abbandonando qualche vecchio desiderio, rivelatosi nel frattempo completamente illusorio.

A questo punto occorre però rendersi conto fino in fondo di cosa voglia dire continuare a stare davanti a “una finestra aperta su una finestra aperta”. Perché qui si palesa tutta la nostra incapacità di liberarci da attitudini e schemi ritenuti per adesso ancora sufficienti a garantire la sicurezza di cui abbiamo bisogno per reggere alle sfide future. L’idea che, al contrario, siano proprio tali attitudini e schemi a rimandare l’appuntamento col nuovo, non sembra finora riuscita a raggiungere un livello di sufficiente maturazione e affidabilità. Purtroppo.

Corriere dell’Alto Adige, 16 giugno 2012

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