Spalare le macerie

“Proprio mentre si apprestano a celebrare i centocinquant’anni della fondazione del loro paese – scriveva Francesco De Gregori all’inizio della sua prefazione al volume di Aldo Cazzullo Viva l’Italia! (Mondatori, 2010) – gli italiani sembrano essere sempre meno interessati a conoscere e a riconoscere la loro italianità”. Evidentemente le cose cambiano in fretta. Ci si sarebbe potuti aspettare però che le fiamme di un possibile recupero di questa italianità perduta apparissero nelle vicinanze del cuore, a Roma, e non sulla punta dei capelli, a Bolzano. Luis Durnwalder ha fatto incautamente scoccare la scintilla, altri si sono affrettati a soffiare sul fuoco ed è divampato l’incendio. Con tutto il fumo che a pieni polmoni abbiamo respirato in questi giorni, è più difficile distribuire le responsabilità e capire come ripartire.

Muoviamo da un paio di dati acquisiti. Durnwalder, preoccupatissimo di dimostrare sufficiente tenuta sul lato dell’identità “tedesca” della provincia, ha annesso anche i ladini alla causa e ha di fatto proibito agli assessori “italiani” di presentarsi ai festeggiamenti coltivando l’illusione di rappresentare qualcosa di appena più vasto della loro (a questo punto quasi extraterritoriale) appartenenza linguistica. Non solo un generico “Südtirol ist nicht Italien” dunque, ma un ben più esplicito “Italienischsprachige Südtiroler können keine echten Südtiroler sein” (gli altoatesini non possono essere veri sudtirolesi: già svantaggiati alla nascita, perdono poi definitivamente questa preziosa qualità non appena oltrepassano il duplice confine di Salorno e del Brennero). Nel resto (?) d’Italia, “dove il tema stesso dell’unità del paese è oggetto di discussione e una crisi profonda sembra attraversare tutte le istituzioni” (sempre De Gregori), non c’è verso di rianimare una qualche parvenza d’afflato patriottico se non resuscitando il vetusto “nemico ereditario”, adesso nei panni di un ingrato sfruttatore di risorse pronto a sputare nel piatto in cui mangia. Se queste non sono macerie, poco ci manca.

Eppure, a pensarci bene, quanti problemi si potrebbero evitare se soltanto ci sforzassimo di non cedere a stereotipi e banalizzazioni omologanti. La specificità di questa terra e di chi ci abita può essere afferrata soltanto rifiutando di assegnarle un’unica forma, un unico destino. Essa non potrà mai essere solo “tedesca” (neppure per i tedeschi) e solo “italiana” (neppure per gli italiani). Parteciperà – ora di qui, ora di là – esponendo sempre un margine, un residuo d’alterità irriducibile. Ma proprio in questa sua instabilità costitutiva dobbiamo ravvisare una grande opportunità. Certo, si tratta di un’opportunità difficile da cogliere, faticosa da interpretare, qualche volta persino impossibile da spiegare a chi non ne faccia o ne abbia fatto prolungata esperienza. Intanto tiriamo il fiato un momento, cominciamo a spalare qualche maceria e rimettiamoci al lavoro.

Corriere dell’Alto Adige, 17 febbraio 2011