Eataly

Sono reduce da un viaggio in Piemonte e Liguria. Un viaggio che ho vissuto in modo particolarmente intenso, raccogliendo sensazioni e sviluppando considerazioni, e del quale parlerò in altre occasioni.

Intanto, accenno qualcosa a proposito di un luogo che mi ha colpito. Si dice “Italy”, ma si scrive “Eataly”. Il video qui sopra spiega un po’ di cosa si tratta. Pensavo: Süd-Tirol ist nicht Italien, bla-bla-bla, e va bene. Ma se Südtirol diventasse (come del resto è già) un po’ Eataly?

Vedi anche qui:

http://fxcuisine.com/Default.asp?language=2&Display=227&resolution=high

Brennero 66

Ieri sera sono passato dal Brennero (provenendo dalla Germania). Più o meno viaggiando a 80 km/h. Il tempo di leggere “Brennero” su qualche cartello e via. Il confine non più confine.

Più di 40 anni fa, i Pooh (celebre easy-band italiana) dedicarono al Brennero una canzone nella quale si allude confusamente al terrorismo sudtirolese degli anni sessanta. Ogni volta che passo dal Brennero mi viene in mente quella canzone, e l’incapacità “italiana” di capire il senso di quella stagione. “Brennero 66”, un manifesto dell’incapacità “italiana” di capire questo posto, la sua storia, le sue peculiarità.

Heautòntimorúmenos

Palazzi e case tutte incenerite.

Mura e cinte sfondate, rovinate:

Rovi e spine salgono fino al cielo.

Gli antichi vecchi non li vedo più;

Vedo soltanto giovinetti nuovi.

[…]

Penso alla casa dove ho vissuto tanti anni;

Ho il cuore stretto e non riesco a parlare.

(Tsao Tsao, 192-232 d.C.)

 

Dissestati

 

Ci sono almeno due motivi per comprendere lo sdegnato strepito che in certi ambienti del centrodestra italiano si è levato a commentare l’elezione di Mauro Minniti, il nuovo vicepresidente del Consiglio Provinciale. Il primo di questi motivi concerne il “metodo”. Il sospetto di un accordo sottobanco, stipulato tra un Landeshauptmann “mercatante”, messo con le spalle al muro dalla contestazione apertasi nel suo partito, e il consigliere di An, il quale a sua volta avrebbe deciso di candidarsi per quel posto in barba a qualsivoglia spirito di squadra, giusto una telefonata per il “via libera” ottenuto dal lontanissimo Maurizio Gasparri. Il secondo motivo riguarda invece la percezione (ormai innegabile) di non riuscire più a proporre una linea politica decisa: prima delle elezioni ammiccante verso la Svp, dopo le elezioni velleitariamente d’opposizione, adesso a metà strada tra l’una e l’altra opzione (e quindi, probabilmente, ininfluente in entrambi i casi). Un centrodestra con una legittimazione elettorale ridotta, con un gruppo consiliare spaccato, sempre più ostaggio di trame “romane” e con l’ago della bussola incapace d’indicare qualcosa di ben definito: è ovvio che qualcuno strepiti.

 

Questo sdegno e questi strepiti appaiono però molto meno comprensibili, vale a dire giustificabili, se esaminiamo i motivi e l’intero processo che hanno portato a una situazione del genere. Mai come stavolta sembra opportuno citare il proverbio: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Quali seri ostacoli, infatti, si sono frapposti ad una candidatura “pulita” e “trasparente” di Minniti come esponente dell’opposizione? Che cosa ha veramente impedito al centrodestra di convergere sul suo nome? Un minimo di strategia, anche volendo solo perseguire il fine di tutelare il cosiddetto interesse degli “italiani”, implicherebbe una sfumatura delle posizioni più dure, più sterilmente intransigenti. E Minniti –  assieme ai non molti che da anni lavorano per smarcare se stessi da una posizione d’emarginazione “a prescindire” –  offriva quelle garanzie sulle quali sarebbe stato intelligente puntare.

 

Le crepe che fino a ieri correvano sui muri interni e sul retro della casa in costruzione chiamata Pdl adesso sono ben visibili all’esterno, persino sulla facciata. Il dissesto statico è avanzato, forse irreversibile. Se neppure il partito che per anni ha predicato l’unione politica degli italiani riesce a stare unito, vuol dire che qualcuno dovrà smettere di strepitare e farsi finalmente carico di esaminare l’intero edificio dalle fondamenta. Prima almeno che crolli e si riduca a un cumulo d’ingombranti macerie.

 

 

Sotto l’albero, il fantasma del Tirolo

 

Ci sono configurazioni storiche o eventi che, seppur remoti, continuano ad agire in modo sotterraneo anche nel presente. Come noto, il Tirolo “storico” – la regione unitaria che prima del 1918 si estendeva da Kufstein al lago di Garda – ha cessato di esistere consegnando il fantasma della propria unità alle generazioni successive. Per comprendere meglio questa vicenda possono farci da guida due libri pubblicati recentemente da Quinto Antonelli e Hans Karl Peterlini. Il primo (“I dimenticati della grande guerra”, Il Margine) tesse pagine di diario e resoconti attorno all’epopea bellica di chi, italiano per lingua, ossia “Welschtiroler”, si trovò a combattere contro quella che, di lì a poco, sarebbe poi diventata la “propria” nuova patria (e per questo motivo venne praticamente dimenticato sia dalla storiografia “ufficiale” austriaca che da quella italiana); il secondo (“Tirol. Notizen einer Reise durch die Landeseinheit”, Heymon) intraprende un viaggio, al contempo lucido e sentimentale, tra luoghi e persone di una regione politicamente “scomparsa”, ma che pure continua a raccogliere i bagliori provenienti dal passato per proiettarli sulla scena di un futuro visto dall’autore come possibile soluzione in chiave “europea” di molte contraddizioni “nazionali” ancora oggi riscontrabili nella nostra piccola e complessa realtà locale.

Accade a Bolzano

Accade a Bolzano, una città che per chi ci vive (soprattutto per chi vive nella sua provincia, passando il tempo ad attaccare cartelli con su scritto “Süd-Tirol ist nicht Italien”) dovrebbe essere lontana dalle abitudini generalmente attribuite agli italiani sporchi brutti e cattivi. Ma cosa accade a Bolzano, dunque? Leggete questo comunicato stampa e lo saprete:

L’elezione, ieri,  della Giunta provinciale e del vicepresidente del Consiglio provinciale ha inquinato i necessari confini tra maggioranza ed opposizione. Che qualcuno abbia preventivamente e riservatamente “preparato” un consigliere dell’opposizione – a quanto sembra Mauro Minniti – per sostenere la maggioranza è più che preoccupante: è uno SCANDALO!

Non meno è da condannare è l’atteggiamento di Minniti, che ha utilizzato tutti i mezzi per garantirsi la vice presidenza del Consiglio Provinciale. Il commercio di voti che, con ogni probabilità, è stato architettato dal presidente Durnwalder e da alcuni esponenti della Svp danneggia gravemente la reputazione del Consiglio provinciale, che – da luogo di trasparente e leale confronto tra chiare maggioranze e chiare opposizioni – viene degradato a oscuro mercato delle vacche, a Bazar di posti e voti, come il capogruppo dei Verdi Riccardo Dello Sbarba ha ieri con forza denunciato in aula, un attimo dopo l’anomalo voto.

Particolarmente pesante è, tuttavia, il sospetto emerso oggi di un diretto condizionamento del voto. Se fosse vero che il giorno prima un esponente della Svp ha consegnato alla consigliera Artioli schede di voto già compilate, ci troveremmo di fronte ad una manipolazione che fa rizzare i capelli in testa. Un fatto simile richiederebbe un immediato accertamento e nel caso l’annullamento dell’elezioni della Giunta e dell’ufficio di presidenza.

Ma Artioli deve anche rispondere ad alcune domande:

  • Perché ha accettato le schede che dice di aver ricevuto, invece di respingerle immediatamente al mittente?
  • Perché ha aspettato un intero giorno senza denunciare la cosa?
  • Perché non fa il nome dell’esponente Svp che Le avrebbe consegnato le schede?

I Verdi chiedono un chiarimento immediato e si riservano ulteriori iniziative contro eventuali accertate irregolarità.

Bolzano, 19 dicembre 2008-12-19

Riccardo Dello Sbarba

Hans Heiss

Leggi anche qui: http://riccardodellosbarba.wordpress.com/2008/12/19/suq/

Hardware e software (tra passato e futuro)

 

Martedì scorso, a Bressanone, tradizionale incontro di fine anno tra il Landeshauptmann e i rappresentanti dei mezzi di comunicazione di massa. Il luogo nel quale è avvenuto questo incontro – dapprima la scuola professionale “hard” (per il commercio, l’artigianato e l’industria) “Tschuggmall”, poi la scuola professionale “soft” (alberghiera) “Emma Hellenstainer” – stavolta è stato scelto evidentemente per esemplificare la metafora con la quale Durnwalder ha inteso sintetizzare le linee fondamentali del suo nuovo programma di governo e il senso di un lavoro (anzi, di un Lebenswerk) che vorrebbe essere interpretato come “epocale”. “La storia è finita, adesso comincia il futuro”, ha affermato pomposamente il presidente, come se fosse appena riemerso dalla recente lettura del vecchio libro di Francis Fukuyama. E all’incrocio di “passato” (finito) e “futuro” (appena cominciato) ha ribadito che una volta compiuto il processo di messa a punto della strategia “hardware”, i prossimi anni saranno dedicati all’elaborazione di un nuovo “software”.

 

Martedì l’“hardware” era fisicamente visibile nell’esibizione orgogliosa delle moderne strutture scolastiche adibite alla formazione professionale. Un luogo, non solo simbolico, della filosofia che informa di sé l’autocomprensione di questa provincia: dalla base al vertice, una piramide di ruoli distribuiti e regolati in virtù della paternalistica preveggenza del “capo”. Un “capo” che dunque può permettersi di convocare la stampa spronandola non certo all’esercizio della propria funzione “critica”, quanto piuttosto al compito di illustrare esclusivamente quanto di buono è stato fatto. L’inevitabile accenno alla crisi economica che potrebbe abbattersi anche dalle nostre parti alla fine si è risolto in un generico appello alla solidarietà, pronunciato mentre gli invitati (circa duecento persone) stavano già sciamando alla volta di un buffet imbandito apposta per far tornare a tutti il sorriso sulle labbra e allontanare così l’immagine dei duri tempi che ci attendono.

 

Del “software”, invece, solo il vago proposito. Per investire con intelligenza nell’intelligenza occorrerebbe sviluppare in primo luogo un’intelligente autocritica, o almeno un pensiero che non mettesse continuamente in evidenza – in certi casi con una boria davvero grottesca – i risultati sin qui raggiunti. Occorrerebbe per esempio chiedersi in che modo un futuro di presumibili vacche magre sia modellabile con schemi di potere ancora oggi basati sulla cementificazione degli interessi di parte, sulla distribuzione clientelare delle risorse, su un’interpretazione conservatrice e autoreferenziale delle dinamiche culturali. Prima di dire insomma che il “futuro è cominciato” bisognerebbe davvero farla finita con un certo passato.

 

 

 

Muovere qualcosa

Sabato scorso ero invitato a una “Klausur” dei Verdi, per contribuire a chiarire i punti deboli di un partito attualmente in crisi. Ho letto il mio intervento meglio che potevo, cercando di essere persuasivo. Quello che ho detto è stato ascoltato con interesse e nel dibattito successivo le mie tesi sono state messe al centro della discussione. Poi, come mi è stato riferito, giacché non sono rimasto fino alla fine, il messaggio è stato diluito da alcuni fraintendimenti, sono stato rimproverato di cose delle quali non potrei essere riconosciuto come responsabile, e del mio testo non si è fatta più parola. Allora mi sono ricordato di questo frammento di Kafka:

In questa città è continuamente mattina presto, giorno non ancora fatto, il cielo un grigio uniforme che si schiarisce appena, le strade vuote, pulite e silenziose, da qualche parte si scosta lentamente il battente di una finestra che non è stato fissato, da qualche parte un soffio muove le estremità di un panno steso sul parapetto di un balcone all’ultimo piano, da qualche parte una tenda palpita leggera a una finestra aperta, nessun altro movimento tranne questi.